121008chavezdi Geraldina Colotti
Venezuela ancora fremente in queste giornate post elettorali in cui si profilano ruoli, candidature e schieramenti. All'orizzonte, due appuntamenti elettorali che definiranno la configurazione del paese sul piano regionale e comunale (rispettivamente il 16 dicembre e nell'aprile 2013). Domani verranno presentate le candidature degli aspiranti governatori. Henrique Capriles Radonski - candidato presidente dell'opposizione che ha totalizzato il 44, 14% contro il 55% di Chávez - non ha nascosto l'intenzione di presentarsi nello stato di Miranda, in cui ha già governato. Contro di lui, l'attuale vicepresidente del Venezuela, Elías Jaua, ex sociologo marxista, fondatore del Partito Socialista Unito e fra i redattori della Costituzione.

In questi giorni si definirà il nuovo quadro dei ministri, il ruolo con il quale affronteranno la discussione sulla finanziaria e il nuovo programma di governo, illustrato durante la campagna elettorale nei suoi 5 grandi obiettivi: controllo delle risorse nazionali e aumento produttivo, zero povertà estrema (ora al 7%) e più democrazia diretta; incremento della produzione petrolifera, potenziamento della rete elettrica e della fornitura idrica; ulteriore sviluppo delle relazioni alternative sul piano continentale e regionale, non solo con gli organismi di governo, ma con le reti sociali e i media comunitari; sostegno al movimento ambientalista mondiale e sviluppo del Plan Nacional de Mitigacion, che intende portare a un tavolo di trattativa i settori produttivi che inquinano e potenziare l'utilizzo delle energie rinnovabili in diversi settori.
«La nostra proposta è il socialismo - ha detto ieri Chávez nella sua prima conferenza stampa dopo il voto, che si è svolta a Palazzo Miraflores -. La gente ci ha votato per questo, per il nostro progetto economico, politico e sociale, che scommette sulla pace e sulla democrazia partecipata. Non nascondiamo nessuno dei nostri obiettivi storici. I poteri forti, i grandi media internazionali considerano disdicevole e vergognosa la parola socialismo. Salvo, poi, essere obbligati a camuffare i propri progetti neoliberisti per ottenere voti, come ha fatto l'opposizione in questa campagna elettorale».
Alcuni media internazionali hanno insistito sul tema del momento: il dialogo con l'opposizione, la telefonata a Capriles e i punti per la «riconciliazione nazionale». Il candidato di opposizione ha riconosciuto la democraticità del voto, e invitato i suoi pasdaran a non alimentare un clima di violenza, ma ha ribadito che «la vittoria è stata del governo, non del Venezuela». Poi ha sostenuto che il suo schieramento (una parata di ereditieri, banchieri, e consimili) non ha investito denaro, ma «ideali». In conferenza stampa, Chávez ha invece denunciato «l'assedio elettorale» della Mud, a dispetto della legge: la montagna di messaggi registrati, inviati ai cittadini: «Soprattutto attraverso il servizio Movistar, grande sponsor di opposizione, che ha visto fallire le sue mire monopolistiche sul paese. Alcuni, nell'opposizione - ha detto Chávez -, intendono il dialogo alla vecchia maniera: quello di un patto tra élite, asservite alla borghesia, ma noi non siamo qui per consegnare il governo alla borghesia».
Il paese diviso? «Solo in una dittatura non c'è contrapposizione - ha affermato - che senso ha fare polemica sullo scarto dei voti? Con quanti punti di vantaggio si è vinto in Francia o in Spagna? Noi abbiamo vinto con 11 punti».
Sulle percentuali interne sta invece litigando l'opposizione. Reina Sequera, terza con 69.493 voti (0,47%), ha accusato Capriles di aver truccato i numeri. E il dettaglio delle percentuali all'interno della Mesa de la unidad democratica (Mud), lascia immaginare che il tasso di litigiosità sarebbe andato alle stelle se l'opposizione fosse andata al governo. La Mud in quanto tale ha totalizzato il 14,68%, Primero Justicia, il partito di Capriles, il 12,31%, Un nuovo tiempo, 8,11%. Poi, per le altre 15 formazioni, si va dal 3 allo 0,12%.
Ironico e colloquiale, Chávez ha ripercorso i passi dell'integrazione regionale, la porta sbarrata all'Alca, l'Accordo di libero commercio delle Americhe voluto da Bush. E, alla domanda della Cnn sulla Siria ha ribadito che il suo governo appoggia «la sovranità dei popoli e non le crisi indotte dall'esterno», e ha lodato la posizione presa da Russia e Cina «per impedire che accada come in Libia». Ha ricordato l'ultima telefonata di Gheddafi: «Prima che venisse barbaramente ucciso, mi aveva detto: non me ne vado, morirò come il Che». E perché in Libia è andata così? «Le riserve internazionali di un piccolo paese come la Libia, custodite nelle banche europee e nordamericane ammontavano a 200 mila milioni di dollari. Il Venezuela - ha aggiunto - si batte per la pace in Siria e nel mondo. Al contrario degli Usa, uno dei principali responsabili del massacro in Libia. Comunque è necessario sostenere Obama. Se fossi cittadino Usa voterei per lui».

Il Manifesto - 11.10.12

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