di Andrea palladino
Nella lenzuolata diliberalizzazioni del governo Monti ci sono due articoli che ai comitati per l'acqua pubblica proprio non piacciono: i numeri 19 e 20. Norme che, secondo i protagonisti del referendum di giugno, potrebbero mettere in discussione i risultati della consultazione popolare.
Andiamo con ordine: l'articolo 19 rende più incisivo il "pacchetto anti-crisi" varato dal governo Berlusconi il 13 agosto che riproponeva alcuni codici della Legge Fitto-Ronchi abrogati dal referendum. In sostanza la norma obbligherà le amministrazioni comunali a cedere buona parte dei loro asset nelle società di gestione dei servizi pubblici locali.
Ma a far saltare sulla sedia i cittadini convinti che l'acquasia una risorsa da mantenere in mani pubbliche è l'articolo 20: una norma che se approvata inciderà direttamente sul Tuel, il Testo unico degli enti locali. Come? Eliminando la possibilità di creare enti di diritto pubblico, tipo i consorzi, per la gestione di quei servizi "di rilevanza economica generale". Una formula che nasconde, dietro il tecnicismo, la possibilità della gestione pubblica degli acquedotti. Con buona pace dei 27 milioni di italiani che il 12 e 13 giugno avevano espresso il loro Sì all'acqua come bene comune.