di Massimo Paolicelli, Francesco Vignarca, Giulio Marcon, Tommaso Di Francesco

«Non capisco perché, ci si accanisca sugli F35», «C'è un chiaro pregiudizio ideologico» con le polemiche sulle Forze Armate! A Parlare è il Ministro-Ammiraglio Giampaolo Di Paola, dalle pagine del Corriere della Sera. Come al solito ha deciso di rispondere alle polemiche di questi giorni sulle ingenti spese militari, passate di fatto indenni alla spending review, e l'acquisto dei 90 famigerati cacciabombardieri F35, con monologhi piene di livore e mezze verità affidate ai media, eludendo il confronto con chi la pensa diversamente da lui. Infatti il fronte contro il Joint Strike Fighter cresce sempre di più: sono oltre 75.000

le firme consegnate nei giorni scorsi al governo dalla Campagna «Taglia le ali alle armi» (www.disarmo.org/nof35), con il sostegno di oltre 650 associazioni e la presa di posizione di 80 enti locali. Tra i politici le contrarietà e i dubbi stanno attraversando tutto l'arco costituzionale, arrivando fino al capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. Non capiamo quindi a quali sondaggi faccia riferimento Di Paola, vantando il sostegno degli italiani.
Le cifre che continua a fornire su costi e impatto del programma sono palesemente errate e contraddicono i documenti ufficiali prodotti dal Pentagono e dagli organi di controllo americani. I costi di acquisto, che allo stato attuale si aggirano su una media di 130 milioni di euro ad esemplare, sono molto più alti di quelli forniti dal Ministro e dai funzionari della Difesa, che parlano di 60-80 milioni di euro. Tutto questo senza contare l'impatto del mantenimento successivo all'acquisto dei cacciabombardieri; quindi se per 90 esemplari spendiamo 12 miliardi di euro, per la loro manutenzione e gestione ne dovremmo spendere almeno altri 36. Sono gli stessi vertici di Finmeccanica, ascoltati in audizione alla Camera, a parlare di 2.500 posti di lavoro complessivi nel momento di picco di produzione, avvertendo che sono numeri da ridurre ulteriormente poiché secondo le nuove ipotesi del ministero i caccia previsti dall'Italia sono meno dei 100 velivoli promessi agli Stati Uniti. Posti di lavoro che saranno comunque ricollocazioni di chi è stato messo in mobilità per la chiusura del progetto del caccia europeo Eurofighter. Però il Ministro continua a dare al parlamento e alla stampa una vecchia ipotesi idilliaca di 10.000 posti di lavoro. Che comunque sarebbero ben poca cosa, rispetto alle ingenti cifre di denaro pubblico spese, che invece creerebbero molti più posti di lavoro se investiti nel settore dell'istruzione o delle energie rinnovabili.
Quanto al ritorno tecnologico e industriale, di recente si sono levate voci molto critiche da parte di ingegneri e tecnici di Alenia Aeronautica, che confermano come fantasiose le rosee prospettive di vantaggio dipinte dalla Difesa e da Finmeccanica e minimi gli effettivi vantaggi economici.
Il vero comportamento ideologico e irrealistico è quindi quello del Ministro, che continua a reiterare la scelta sulla base di presunte necessità della Difesa, ma senza entrare nel dettaglio dei costi-benefici. Forse perché dieci anni fa ha firmato lui l'accordo per la fase di sviluppo del programma venendo definito dagli americani «formidabile sostenitore per il Jsf in Italia»?
Per quel che riguarda il disegno di legge delega voluto da Di Paola, sbandierato come la spending review della Difesa, in realtà questo non porta neanche un euro alle casse dello Stato, perché prevede con i risparmi del taglio al personale di pagare nuovi sistemi d'arma, come gli F35 e la loro manutenzione. Vuole mantenere nel tempo una spesa di oltre 23 miliardi di euro l'anno, mentre gli italiani sono chiamati a pesantissimi sacrifici in settori delicati come la sanità, l'istruzione e l'ambiente.
Altro aspetto non di poco conto è quello economico e anche qui il Ministro Ammiraglio Giampaolo Di Paola presenta al parlamento e al Paese una mezza verità affermando che il nostro Paese destina alle Forze Armate lo 0,84% del suo Pil, mentre la media europea è dell'1,61%. Peccato che questi dati siano smentiti da documenti ufficiali della Difesa e dalla Nato, che attribuisce all'Italia una spesa dell'1,4% del Pil rispetto a una media europea dell'1,6%. Il nostro Paese spende più della Spagna (0,9% Pil) e quanto la Germania (1,4% Pil) ma meno di Francia e Gran Bretagna (rispettivamente 1,9 e 2,6% del Pil), nazioni che però posseggono armamenti nucleari.
Questo avviene perché si conteggiano solo le spese per la Funzione Difesa, escludendo spese inserite nel bilancio della Difesa, come i Carabinieri, usati principalmente per la pubblica sicurezza ma comunque inquadrati come IV Forza Armata, e le pensioni di ausiliaria; fuori dal bilancio ufficiale sono anche le Missioni all'estero, a carico del Ministero dell'Economia per 1,4 miliardi e i finanziamenti per alcuni sistemi d'arma a carico del Ministero dello Sviluppo Economico per 1,7 miliardi; per questo nel 2012 alla fine si spende per la Difesa oltre 23 miliardi di euro.
Ma il vero «furore ideologico» è quello imposto dalla Nato, ben rappresentato dal Ministro di Paola, che ne è stato presidente del comitato militare, che malgrado la crisi economica mondiale chiede ai suoi Paesi partner di mantenere un elevato livello di spese militari, per far fronte a conflitti sempre più assurdi e sempre più pesanti. L'F35 è il vessillo di questo sistema: un cacciabombardiere che "lavora" in un sistema computerizzato guidato dagli Stati Uniti, con costi spropositati che vanno dritti nelle casse dell'industria bellica a stelle e strisce. Così anche il nostro Paese sarà in giro per il mondo a bombardare, calpestando definitivamente l'articolo 11 della nostra Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra».

da il manifesto

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