di Fr. Pi.
L'idea migliore del governo sembra essere stata l'aver chiamato il consigli dei ministri di ieri un «seminario». Una consultazione quasi informale per individuare le idee adatte a far ripartire «la crescita». Ma anche un modo di dire «non aspettatevi molto».
In effetti, una sola decisione è uscita fuori dal conclave: le tasse dei terremotati emiliani potranno aspettare fino al 30 novembre. Un (piccola) proroga che non cambia nulla, ma evita le accuse di insensibilità. Il resto è individuabile solo con atti di fede.
E tre righe del comunicato finale sollevano molte più preoccupazioni che speranze: «nuove liberalizzazioni per «creare spazi nuovi per la crescita di autonome iniziative private attualmente bloccate o rese interstiziali da una presenza pubblica invadente e spesso inefficiente (settore postale, beni culturali e sanità)».
Il significato è inequivoco: la «crescita» è opera dell'iniziativa privata (se vuole), al governo spetta solo il compito di «fare spazio», abbattendo il «pubblico». I settori di espansione possibile sono indicati in calce: poste, beni culturali e sanità. E finalmente tornerà «moderno» il Totò che voleva vendere la fontana di Trevi...
Il resto è affidato a una «road map» che suona altrettanto inquietante di quelle diplomatiche. Del resto, bisogna agire «nel rispetto delle compatibilità finanziarie e dei vincoli europei». La linea viene dall'alto, ed era già nota. Per esempio, «armonizzare la disciplina del mercato del lavoro privato con quella del lavoro pubblico». Traduzione facile: togliere l'art. 18 anche per i dipendenti pubblici.
Il protagonista più atteso del cdm di ieri era comunque il ministro di uno «sviluppo» che non si vede: Corrado Passera. Ma anche lui, all'uscita da una riunione fiume durata nove ore, ha offerto solo suggestioni. È noto che il governo non sa dove trovare le risorse per finanziare iniziative. Anzi, il primo problema è trovare 6,5 miliardi per evitare di innalzare l'Iva - come già deciso - dal 21 al 23%. Una mazzata recessiva, altro che «crescita».
Passera ha giurato che non ci sono stati conflitti con il ministro dell'economia Vittorio Grilli, il «custode» della cassaforte e che - come Giulio Tremonti, di cui era peraltro il braccio destro - deve respingere le «pensate» dei suoi colleghi. Il sermone ideologico è sempre lo stesso: «non c'è possibilità di crescita se non c'è tenuta dei conti». I provvedimenti per ora solo nominati, per titoli senza testo, sono quelli già noti: «agenda digitale» (implementazione della banda larga per Internet, che richiede comunque risorse finanziarie), «facilitazione della nascita di nuove imprese» tramite un'altra raffica di «semplificazioni burocratiche» al limite dell'avventuroso (come la semplificazione dell'iter per i certificati antimafia). Ma anche per attirare investimenti stranieri.
L'idea più vicina alla possibilità di attuazione - sempre che si reperiscano le risorse - sembra essere il «fondo unico per le start up», le nuove imprese. Pochi soldi e molte pratiche burocratiche in meno; tutto lì. Il «piano città» e quello per gli aeroporti sono ancora nominati; ma specie il secondo sembra ridursi a una semplice «razionalizzazione» degli scali esistenti, con la chiusura di quelli palesemente inutilizzati già ora.
Non si trova traccia, almeno verbale, delle numerose iniziative promesse il giorno precedente dai microfoni di Radio Anch'io dal ministro del welfare, Elsa Fornero. Del resto lei stessa aveva anticipato che le «misure per i giovani» erano di fatto una formula retorica senza alcun impegno concreto. «Pochi soldi spesi bene», aveva precisato. I dettagli di ieri parlano di «incentivare gli spostamenti di manodopera da dove c'è surplus a dove c'è carenza». Anche per la riduzione del «cuneo fiscale» - parola d'ordine di un governo Prodi, realizzata diminuendo il prelievo solo sulle imprese e lasciando inalterato quello sul lavoro dipendente - non si prevedono fatti nuovi: non ci sono soldi.
Stesso discorso per la «crescita» trainabile dall'ambiente. Il ministro Clini aveva anticipato un «piano» in cinque capitoli decisamente ambizioso rispetto ai mezzi: «decarbonizzazione dell'economia», incentivi per le energie rinnovabili, bonifica dei terreni industriali inquinati, tutela del territorio. Tutte misure che richiedono grandi investimenti (tranne forse il potenziamento della raccolta differenziata). Al punto che quella più realizzabile appare l'aumento dei pedaggi autostradali in base al livello delle emissioni di anidride carbonica degli automezzi. Possiamo scommettere che sarà la prima.
L'architrave della «crescita» saranno dunque ancora una volta... i tagli. Il piatto pronto parla di almeno 20 miliardi ricavabili dalla vendita del patrimonio di Comuni e Regioni. Bisognerà convincerli, ma Grilli troverà la chiave per farlo.
da il manifesto