di Alberto Burgio

«Ineccepibile» Joseph Halevi considera l'intervista rilasciata da Mario Monti allo Spiegel, che ha messo a soqquadro la politica tedesca ed europea per alcune dichiarazioni ritenute avventate o minacciose sul piano politico, oltre che sul terreno economico-finanziario. Le ragioni esposte da Halevi sono, a loro volta, inoppugnabili. Il punto è che riguardano solo un aspetto del problema. Per l'altro - non meno rilevante - l'intervista pare a me, invece, sciagurata. E sintomatica di un deficit di cultura democratica - meglio: di cultura tout court e di sensibilità democratica - che la dice lunga sul personaggio e sul governo che egli a buon diritto presiede. Dire che i governi dovrebbero «educare» i parlamenti è in generale sbagliato, e tradisce una concezione della politica incompatibile con i principi fondamentali del costituzionalismo democratico.

Non occorre dire altro, tanto evidente è la questione, e non credo che l'interpretazione benevola che Halevi dà del pensiero di Monti al riguardo colga nel segno. Non sono in discussione i «margini di autonomia» degli esecutivi. Si tratta invece della filosofia politica sottesa alla costruzione europea da Maastricht in poi, dove il parlamento è concepito come un'arena di dibattito priva di potere - una sorta di organo consultivo - e l'agenda politica è affidata agli organi di amministrazione e di governo (Commissione e Consiglio dell'Unione). Quel che Monti dimostra puntualmente di avere in mente è che tanto dibattere ed eccepire da parte dei parlamenti non ha senso alcuno (se non quello di imporre mediazioni al ribasso), visto che la «tecnica» dice già con chiarezza che cosa c'è da fare. La politica ha la strada segnata dalla scienza. E i governi, forti di questa legittimazione «oggettiva», debbono essere lasciati liberi di manovrare per decreto, naturalmente scaricando sul lavoro tutto il costo della crisi e svendendo ai privati quanto resta del patrimonio pubblico. In questo senso Monti replicò a Susanna Camusso che a guidare l'azione del governo dovrebbe essere non la Costituzione formale, ma quella materiale, intendendo con questo il sistema di potere neoliberale imposto al mondo dal «consenso di Washington». Quando si discute sulla presunta natura tecnica piuttosto che politica dell'attuale governo, bisognerebbe tenere presente questa prospettiva, in base alla quale non ci sarebbe proprio nulla di «emergenziale» o di «eccezionale» in un esecutivo nato fuori dal parlamento e senza il contributo dei partiti.
Ma affermare che i governi dovrebbero guidare la politica senza l'impaccio dei parlamenti è sbagliato in particolare con riferimento alla Germania, un paese nel quale la tentazione autoritaria ha ripetutamente trovato terreno fertile e si è espressa, nel corso del Novecento, nel modo più devastante. L'intervista di Monti è grave anche per l'effetto paradossale che ha prodotto a questo riguardo. La pretesa tedesca di primeggiare si manifesta, tradizionalmente, attraverso un'ottica imperialistica. Ha ragione Massimo Cacciari quando osserva che la Germania stenta a considerarsi pari agli altri partner europei. È una carenza di ordine politico alla base della quale operano ragioni culturali di lungo periodo. Esiste una sindrome tedesca che data da almeno centocinquant'anni (dalla tardiva unificazione del Reich guglielmino) e che si radica in un rapporto squilibrato tra società e Stato (tutto a vantaggio di quest'ultimo) o in un mancato rapporto (onde la politica tende a configurarsi come dominio e come pura potenza). Il paradosso sta in ciò, che, nell'invocare la primazia dei governi, Monti fa appello alle peggiori tradizioni tedesche, suscitando fantasmi a malapena rimossi. Per cui la levata di scudi di tutto il Bundestag non ha soltanto rafforzato la cancelliera, ha anche conferito alla sua indecente politica una parvenza di ragione e di nobiltà democratica. In un pasticcio che rende ancora più difficile decifrare una crisi economica, sociale e politica che rischia di travolgere l'Europa intera.
Il tutto che cos'è? È l'espressione dell'estrema angustia culturale di una sedicente élite «tecnica» persino ignara dell'esistenza di ambiti che trascendono il terreno economico, l'unico considerato significativo (il che la dice lunghissima sugli effetti perversi della scissione tra saperi umanistici e scientifici che nonostante tutto domina nelle università di tutto l'Occidente). Ed è la conferma del virus autoritario che scorre nelle vene di chi governa non concependo limiti al feticcio che adora. Se si pensa all'altra intervista - quella al Wall Street Journal - e all'ipotesi dello spread a quota 1200, lo si comprende molto bene. L'ipotesi evoca scenari catastrofici. Ma al sen. Monti non viene neanche in mente che la dittatura della speculazione sia di per sé una minaccia mortale per la democrazia.

 

Alberto Burgio

da il manifesto

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