di Boris Sollazzo :: Intervista ad Antonio Ingroia

Antonio Ingroia, ormai ex Procuratore aggiunto di Palermo, è rimasto l’unico grande indeciso della campagna elettorale più veloce della storia repubblicana. Simbolo della lotta contro la mafia, al centro di molte polemiche per la sua visione molto politica del proprio ruolo di magistrato, autodefinitosi uno dei Partigiani della Costituzione come, peraltro, recita il suo blog su MicroMega, dopo la breve parentesi in Guatemala come capo dell`unità di investigazione per la lotta al narcotraffico su incarico (annuale) dell’Onu, si è preso un’aspettativa elettorale per vagliare una “discesa in campo”. Molto probabile, a sentirlo parlare.

Questo 2012 è stato un anno cruciale, per lei e per l’Italia. Che bilancio ne dà?
Quello di un anno difficile, ma anche pieno di aspettative, di cambiamenti, di possibili rinnovamenti. Vale per il mio piano personale e professionale: in questo 2012 ho concluso la mia indagine più importante, quella sulla ormai famigerata trattativa Stato-Mafia, e, di conseguenza, ci sono state anche le polemiche e le tensioni con il Quirinale sul conflitto d’attribuzione. Ma è anche stato l’anno del ventennale delle stragi di Via D’Amelio e Capaci, con i procedimenti inerenti ad esse che stanno andando a compimento e la speranza che su quella fase oscura, buia della nostra Storia finalmente possa essere fatta luce. In pochi mesi ho chiuso un’importante parte della mia carriera e partire per il Guatemala per una nuova avventura e poi, improvvisamente, pensare a una nuova via per interpretare il ruolo di uomo dello Stato per come lo intendo io: quello di chi è pronto e disposto a mettersi in gioco per migliorare il proprio paese. Paese che ne ha bisogno, perché Monti, che all’inizio ha permesso un cambiamento ai vertici subentrando a Berlusconi, il punto più basso raggiunto dall’Italia anche come considerazione all’estero, non ha mantenuto le promesse dei suoi esordi, proponendo la vecchia ricetta di far pagare la crisi solo al gradino più basso della scala sociale.

Cosa la sta spingendo a, come direbbe lo stesso Monti (ma anche, ricordiamolo, Cetto Laqualunque), a salire in politica?
Ripeto, sul candidarmi o meno comunicherò la mia decisione domani pomeriggio o, più probabilmente, il 29 mattina. Ci sono due fasi del mio cambiamento da considerare: le polemiche con il Presidente della Repubblica mi hanno fatto capire che, forse, c’era un grado d’esposizione eccessiva della mia figura che mi ha spinto ad accettare, in Guatemala, un nuovo incarico e un’esperienza che mi portasse lontano da certe dinamiche. Ma ci sono anche elementi positivi in questi miei cambiamenti, come questa campagna elettorale.
Credo, infatti, che meriti di essere vissuta, anche con tutti i rischi e le discussioni che mi porteranno: sento un fremito, una tensione diffusa e una voglia di partecipazione straordinaria che ho colto in questi mesi girando l’Italia. E sento che tutto questo rende giusto il mio impegno politico, lo dico da magistrato che da anni interpreta il suo ruolo dentro la società, e non fuori o sopra essa. Sento un’emozione e una passione civica sui temi della mafia, della corruzione e del lavoro in così tanti cittadini che deve essere raccolta.

E pensa di farlo in meno di due mesi? Sembra una missione impossibile
Potrei cavarmela con una battuta: il rischio è il mio mestiere. So che questi temi e questo sentimento collettivo avrebbero bisogno di molto tempo per strutturarsi e costruirsi meglio, ma rimane il fatto che sarebbe un atto di avarizia nei confronti di questi italiani non mettersi a disposizione. Io ci sto e non mi tirerò indietro: il mio impegno lo darò tutto, in un modo o nell ’altro, o dietro le quinte o candidandomi. E chi può deve fare altrettanto: questo atto di generosità verso la collettività è un diritto ma anche e soprattutto un dovere. Sono già entrato in politica, si tratta solo di vedere come giocherò la mia partita.

Rischia di rimanere isolato dalle coalizioni.
È vero, arriviamo tardi, quando i giochi sono già stati fatti e le alleanze pure. Ma quest’esperienza politica non nasce per andare a fare “caciara ” in Parlamento, con tutto il rispetto per una certa opposizione, ma per costruire e cambiare il paese. Quindi l’obiettivo è essere una forza di governo che lo possa riformare. Se siamo pragmatici, però, dobbiamo fare i conti con un quadro politico piuttosto confuso, a partire dal futuro di eventuali accordi tra centrosinistra e polo moderato fino all’incognita Monti. In Bersani, che trovo una persona seria e un leader credibile, trovo un possibile compagno di viaggio, ma non posso non ricordare che il PD ha fatto gravi errori sui temi della giustizia, a partire dalla lotta alla criminalità organizzata fino ad arrivare all’appoggio alla linea fortemente neoliberista del governo Monti, con cui noi siamo fortemente critici. So, di contro, che c’è un popolo democratico che è sempre stato molto affettuoso con me. E noi dobbiamo partire, senza pregiudizi personali e politici, dalle tante cose che ci uniscono, per incontrarci e confrontarci. Sono convinto che potremmo trovare un percorso comune. Io, per ora, aspetto Bersani per capire cosa vuol fare. E la mia unica certezza è la totale incompatibilità con Berlusconi.

E questo vale anche per Beppe Grillo?
Lo conosco da anni, da quando i suoi spettacoli non avevano avuto la virata politica. Non ho condiviso alcune sue prese di posizione, né alcuni suoi eccessi espressivi, ma in alcune sue battaglie riconosco obiettivi comuni, dal No Tav allo sviluppo ecosostenibile. Temo però sia rimasto chiuso dentro una logica ribellistico-distruttiva. A lui chiedo di fare un ulteriore passo avanti, per costruire e non solo distruggere.
Senza essere arroganti, possiamo dire che sono gli altri a doversi alleare con noi e non il contrario, perché noi abbiamo stabilito pochi punti fondanti, e in quanto tali sono irrinunciabili.

La sua candidatura potrebbe essere una vittoria della società civile, ma di sicuro è una sconfitta della giustizia. Un po’ come lo fu la collaborazione con Martelli di Giovanni Falcone?
Sono situazioni diverse ma che portano in sé sentimenti analoghi. La situazione di Falcone era molto pesante, non riusciva a lavorare per contrasti con il capo del suo ufficio, non poteva espletare al meglio il suo ruolo, cosa che a me non è successa. Ho avuto l’opportunità di lavorare con un bel gruppo e di portare avanti le indagini più significative per me. Detto questo, le condizioni generali del Paese, invece, mi impedivano di fare grossi passi avanti, ormai.
Falcone si rese conto che per andare avanti doveva cambiare ruolo, e lo fece anche tra lo scetticismo di molti di noi, me compreso. Ebbe ragione lui, seppe imprimere una direttrice chiara e forte a tutte le strutture investigative e all ’impianto legislativo antimafia di cui abbiamo beneficiato per tutto il ventennio successivo.
Ecco, il suo esempio, il suo precedente importante mi rassicura: la mia scommessa, in quest’incursione politica, è di dare un’accelerata alla lotta contro il sistema criminale mafioso, contro la connivenza tra mafia e colletti bianchi. E potremo agevolare la ricerca della verità sulla stagione delle stragi, in cui la giustizia ha fatto tutto ciò che era in suo potere, ma per cui la politica può e deve fare molto di più. La magistratura in questi anni è stata lasciata sola.

Ha già proposte concrete in merito?
Faremo proposterivoluzionariein tema di recupero di capitali dell’economia criminale, che anche se dovesse essere parziale garantirebbe una marea di risorse da investire in ospedali, scuole, servizi per i cittadini. Dobbiamo far capire a tutti che la corruzione costa ai cittadini, distorce il mercato, taglia fuori i soggetti economici sani, danneggia tutti: è colpa delle tangenti sugli appalti se i tetti delle scuole crollano, se i ponti sull’autostrada sono a rischio di dissesto idrogeologico, se certe apparecchiature mediche non funzioneranno mai. La corruzione è una tassa occulta che paghiamo tutti e che talvolta uccide. Io sono convinto che una politica progressista non possa ignorare tutto questo.

Anche per questo ha chiesto un passo indietro alla politica e ai politici?
Ho chiesto un passo indietro che fosse funzionale a quello in avanti della società civile. Bisogna avere il coraggio della responsabilità di metterci la faccia, e la politica ha il compito di proteggere, dalla seconda linea, quest’avanguardia civile. Bisogna rovesciare le proporzioni del passato: la società dev’essere il fiore all ’occhiello e non la foglia di fico della politica.
E in questo senso apprezzo l’impegno di alcuni leader a rinunciare al proprio simbolo per non creare quelle accozzaglie “arcobaleno” che io voglio evitare. Un atto di sensibilità e attenzione che apprezzo molto e che, per esempio, Di Pietro ha accolto. Sono convinto che agevolerà una ricerca d’identità nuova, ma non sono un appassionato di antipolitica né sono antipartitico, non cerco rottamazioni: questi politici che ci sostengono sono risorse importantissime. Il mio appello ai Landini, ai Santoro, ai Ciotti non si aspetta, necessariamente, una loro candidatura ma, almeno, una presa di posizione chiara, un impegno al nostro fianco forte. Come quella di Salvatore Borsellino che, a titolo personale, ha dichiarato di essere con noi. Aspetto le risposte da chi ho incontrato in questi giorni.

Risposte determinanti per la sua candidatura diretta, magari come premier?
Non so se saranno determinanti, di sicuro sono molto importanti.

Almeno ci può dire se eviterà di fare come Monti? Un «Voi votate, poi chiamatemi»
A Monti non mi avvicina, neanche un po’, il programma. La sua agenda, è evidente, è lontana dal nostro manifesto in dieci punti, sono binari paralleli e che mai potranno convergere, siamo del tutto alternativi alle politiche che Monti ha espresso in questo anno di governo. Ma, certo, il 29 potrei essere anche “solo”il primo firmatario di un manifesto a disposizione per il dopo elezioni.

Come sceglierebbe i suoi candidati?
Io sono per una gestione collettiva e collegiale, al di là del fatto che i riflettori ora siano puntati su di me. Come ho già detto le direttive principali in merito sono il rinnovamento, la prima fila riservata alla società civile, alle anime piccole e grandi che stanno confluendo, di ora in ora, nel nostro movimento. Dagli arancioni di de Magistris a «Cambiare si può» di cui apprezzo le consultazioni dal basso che stanno esprimendo candidature importanti di cittadini comuni impegnati sul territorio e di uomini simbolo del sindacato, della lotta antimafia, dell ’associazionismo. Su di essi poi deciderà un Comitato di Garanzia, una cabina di regia totalmente rappresentativa di queste realtà

Certo, si fa fatica a trovare queste qualità nella classe dirigente disastrata dell’Idv di Di Pietro
Non posso negare che le ultime vicende legali e politiche che l’hanno coinvolta siano gravi. Io ho grande stima di Antonio Di Pietro fin da quando collaboravamo, da lontano, come giovani pubblici ministeri. Di sicuro da lì arriveranno solo uomini che risponderanno alle qualità che noi vogliamo.

Di Pietro, de Magistris, Ingroia. Qualche maligno potrebbe sostenere che la magistratura sconfitta ci riprova in politica
Non direi, se posso permettermi un pizzico di vanità personale, io i miei processi li ho vinti tutti o quasi. L’ultimo, appena approdato all’udienza preliminare, è stato fermato da un conflitto d’attribuzione che costituzionalmente difficilmente poteva trovare il Presidente della Repubblica in torto. Ma anche i procedimenti più discussi, dal processo Contrada a quello Dell’Utri, hanno portato a sentenze di condanna. Vero è, però, che il nostro progetto politico-giudiziario è stato sconfitto, come è già successo a Falcone e Borsellino. Noi siamo magistrati ambiziosi che sanno che contro mafia e corruzione serve un impegno forte della politica, accanto alla magistratura e non contro di essa. Da qui nasce il successivo impegno in politica di alcuni magistrati, che forse è un’anomalia italiana, lo convengo. Ma quest’anomalia non è nella supplenza della magistratura rispetto alla politica, ma nell ’inerzia di quest’ultima. Anomalia è anche la discesa in campo della società civile che, normalmente, dovrebbe essere solo coscienza critica che vigila sul resto. Ma tant’è, siamo in un’emergenza democratica e politica, perché la classe dirigente non aveva mai raggiunto un livello così basso in tutta la nostra storia. Per questo posso dire che non sarò un politico di professione, ma solo un uomo dello Stato che ora sente di dover fare questo passo.

Quindi tornerà, un giorno, magistrato?
Ovviamente è improponibile che io rientri nella stessa postazione in cui ero: non potrei tornare, dopo un eventuale impegno in Parlamento, nel mio ruolo di Procuratore aggiunto nelle udienze sulla trattativa Stato-Mafia. Ma ci sono altri incarichi internazionali, come quello che già avevo accettato in Guatemala, meno legati alle vicende italiane, che mi consentirebbero di fare il mio lavoro senza profili d’inopportunità.

da Pubblico giornale

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