L’inflazione cumulata tra il 2021 e il 2023 ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto dei salari obbligando le famiglie a rinunce e privazioni nell’acquisto di beni necessari. E si badi bene parliamo di un danno economico che resterà negli anni anche nel caso assai improbabile che l’inflazione tornasse a zero. Una situazione gravissima confermata perfino da Odm consulting, una società al servizio delle imprese, secondo cui l’inflazione media cumulata in tre anni ammonterebbe al 16,7% a fronte di una crescita media delle retribuzioni del 10%.
Una fotografia resa ancor più drammatica per gli oltre 5 milioni di lavoratrici e lavoratori che di aumenti salariali non ne hanno visto perché hanno i contratti scaduti da anni e ancor più per altri milioni di lavoratrici e lavoratori che un contratto vero se lo sognano.
Si tratta oltretutto di un’ampia porzione del mondo del lavoro con stipendi bassi e bassissimi, spesso sotto la soglia di povertà relativa, su cui l’inflazione colpisce molto di più di quanto non dicano le statistiche perché la gran parte del salario, se non tutto, se ne va per coprire il carrello della spesa fatto di prodotti di consumo, specie alimentari sui quali l’inflazione reale è ben oltre quella media dichiarata arrivando fino a dieci punti in più.
Applicare la Costituzione e approvare la proposta di legge di iniziativa popolare per un salario minimo di 10 euro agganciato automaticamente all’inflazione depositata da Unione Popolare in Senato è una scelta doverosa.
Siamo impegnati a costruire la più ampia e unitaria mobilitazione sociale a sostegno della nostra proposta di legge e invitiamo tutte le forze politiche presenti in Parlamento che credono davvero in questa misura di civiltà a battersi per la sua rapida messa in discussione e approvazione.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Ex Ilva , è finito con una rottura l’incontro tra il governo e il colosso indiano Arcelor Mittal che non ha accettato di investire nella società nemmeno come socio di minoranza.
Una fine annunciata. Anni di gestione disastrosa, chiusura di impianti e produzione ai minimi termini, mancati investimenti nella manutenzione e nella decarbonizzazione, ricorso massiccio alla cassa integrazione avevano reso chiari da tempo i veri obiettivi del gruppo indiano: portare allo sfinimento l’ex Ilva, il più grande polo siderurgico europeo, per eliminare un pericoloso concorrente nel mercato mondiale dell’acciaio.
Ma questo non sarebbe stato possibile senza la gestione dilettantesca e irresponsabile dei governi che fino all’ultimo col governo Meloni, pur di non fare la scelta della gestione pubblica, hanno fatto regali a perdere alla multinazionale mentre questa procedeva con la distruzione dell’azienda.
Ora si passa a una gestione commissariale nel momento in cui incombono necessità di cassa solo per mantenere in funzione gli impianti e occorrono investimenti importanti per rimettere in sesto l’azienda.
Non c’è più tempo e non ci sono più scuse; il governo arrivi all’incontro con i sindacati previsto per giovedì confermando la scelta della gestione pubblica e soprattutto con un piano serio che garantisca subito la continuità produttiva a rischio e il rilancio dell’azienda, strategica per il territorio e per il paese, coniugando salvaguardia del lavoro, decarbonizzazione e risanamento ambientale.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Care compagne, cari compagni,

Cogliendo l’occasione per ringraziare di nuovo tutte e tutti le/i nostre/i iscritte/i per l’impegno profuso, vi inviamo le tabelle con il resoconto della raccolta firme per il salario minimo dettagliato per regione e federazione.
Come vedete, i dati restituiscono un quadro che si presta a molti ragionamenti, ma rinviamo le valutazioni ad altri momenti.
Ringraziamo anche le compagne e i compagni dell’organizzazione e le/i volontarie/i che nella sede nazionale, pur tra molte difficoltà, hanno fatto uno splendido lavoro che ha permesso di organizzare e verificare con competenza le firme raccolte e predisporre la consegna al Senato nei tempi stabiliti.
Un lavoro di grande qualità riscontrabile nel puntuale resoconto che vi inviamo.

Note per la lettura dei dati delle tabelle:

1) Nella prima colonna dei dati è indicato il numero dei moduli consegnati;
2) nella seconda quelli delle firme autenticate seppure non certificate o con vizi formali;
3)nella terza trovate le firme consegnate, quindi corrette da tutti i punti di vista;
4) nella quarta quelle che pur autenticate e certificate non sono state consegnate per motivi indicati nelle note nella settima colonna;
5) nella quinta quelle consegnate da Rifondazione. Non siamo in grado di dire quante raccolte solo dal nostro partito, quante da Up o come Up;
6) nella sesta quelle raccolte da Pap e da Usb.

Cari saluti

Antonello Patta
Segreteria nazionale, responsabile Lavoro Prc-Se

Firme Salario minimo

La vera emergenza italiana sono i bassi salari; nel nostro paese, unico in Europa, i salari reali sono fermi dal 1991 mentre nei paesi Ocse sono cresciuti in media del 32, 5%.
Sono dati contenuti nel rapporto Inapp del 2023 che confermano quanto già attestato dall’Ocse lo scorso anno.
E’ impressionante e vergognoso l’arretramento dei salari italiani nella graduatoria dell’area Ocse: in 30 anni l’Italia scivola dal nono posto del 1992, quando si collocava sopra la media, al ventiduesimo del 2022.
Con un crollo accentuato nell’anno del covid e proseguito con l’inflazione da profitti che ha ulteriormente impoverito le lavoratrici e i lavoratori riducendo il potere d’acquisto del 20% circa.
E’ il risultato della lotta di classe contro il lavoro condotta per decenni da governi e imprese che ha prodotto una crescita continua della quota dei profitti sul Pil ai danni dei salari, mentre la produttività, pur arretrando rispetto agli altri paesi europei , è aumentata più delle retribuzioni.
Tra Le cause dell’emergenza salariale individuate dal rapporto: la crescente incapacità della contrattazione collettiva nazionale di tutelare il lavoro anche a causa dell’aggancio all’Ipca depurato dai prezzi dell’energia, la totale inadeguatezza di quella di secondo livello nonostante gli incentivi erogati dai governi per sostenerla e i lunghi periodi senza rinnovi dei contratti.
E’ lo stesso rapporto a indicare alcune delle soluzioni che sosteniamo da tempo: aumento di almeno il 5% della quota dei salari sul pil, rilancio del contratto nazionale e introduzione del salario minimo legale.
Ecco un’ ulteriore motivazione, ammesso ce ne fosse bisogno, per spingere le forze politiche presenti in Parlamento a sostenere con forza la proposta di legge per l’introduzione del salario minimo legale a 10 euro l’ora agganciato automaticamente all’inflazione consegnata al Senato da Unione popolare.
Chiediamo loro di cogliere questa opportunità per rilanciare questa battaglia di civiltà dopo l’ignobile colpo di mano con cui il governo ha cancellato la loro proposta.
Nel contempo siamo impegnati a sostenere questa lotta con le mobilitazioni nel paese, e invitiamo tutte le forze politiche, sociali e sindacali a fare altrettanto.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Rifondazione Comunista denuncia il nuovo attacco al diritto di sciopero da parte del ministro Salvini che con un'ordinanza immotivata ha ridotto a quattro ore lo sciopero di 24 ore del trasporto pubblico locale indetto per venerdì 15 dicembre dai sindacati di base. La decisione del ministro è un atto assolutamente arbitrario visto che la competente Commissione di garanzia non aveva posto problemi allo svolgimento dello sciopero.
L'esibizionismo autoritario di Salvini è un atto di intimidazione verso lavoratrici e lavoratori che segue alla precettazione in occasione dello sciopero di CGIL e Uil.
Questo governo sta portando avanti un attacco esplicito al diritto di sciopero sancito dalla Costituzione nata dalla Resistenza.
L'Unione Sindacale di Base (USB) ha annunciato di voler disobbedire all’ordinanza di Salvini, confermando lo sciopero per l’intera giornata e annunciando un ricorso al TAR e altre azioni legali. Si tratta di una scelta coraggiosa perché la violazione dell'ordinanza prevede sanzioni fino a 1000 euro per scioperanti e ancor più pesanti per le organizzazioni sindacali promotrici da 2.500 a 50.000 euro.

Rifondazione Comunista sostiene la scelta dell'USB e aupica la costruzione di un ampio fronte sindacale e democratico contro l'attacco al diritto di sciopero sancito dalla Costituzione. C'è bisogno di una risposta forte alla protervia della destra fascioleghista che da un lato assume misure antipopolari che colpiscono i redditi, i diritti e i servizi pubblici e dall’altro reprime le lotte per cancellare le voci che smascherano quelle politiche.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Accolta da un presidio dei familiari delle vittime prende il via questa mattina la prima delle tre sedute della Cassazione bis sulla strage di Viareggio nella quale persero la vita 32 persone per l’esplosione e il deragliamento di un treno.
Son passati quattordici anni dal quel tragico 29 giugno e le sofferenze dei parenti delle vittime non hanno ancora avuto nemmeno il ristoro di una giustizia giusta e I responsabili, i colpevoli, i condannati in 4 gradi di giudizio vergognosamente si appellano alla Costituzione per usufruire della prescrizione.

Gran parte dei reati, come quelli di incendio e lesioni colpose gravi e gravissime, sono stati cancellati dalla prescrizione mentre gli omicidi colposi sono stati annullati dalla sentenza della cassazione che ha escluso l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro.

Fra due giorni, il 6 dicembre ricorrerà l’anniversario della strage della Thyssenkrupp di Torino quando un incendio arse vivi sette operai e ancora oggi i colpevoli sono rimasti impuniti, in libertà in Germania, mentre i familiari lottano per avere giustizia.
Non è affatto strana la concomitanza di questi due eventi a pochi giorni dalla morte di due lavoratori nel drammatico scontro scontro tra un treno e un camion in Calabria in un paese in cui le morti sul lavoro fanno ormai parte di una tragica quotidianità.

Al 30 novembre sono stati 919 i morti sul lavoro del 2023 senza contare i decessi per malattie professionali, più di 80 al mese, quasi 3 al giorno e il numero degli infortuni, circa 500 mila, continua ad essere drammaticamente elevato.

La derubricazione a fatali incidenti e l’assuefazione sono gli ingredienti su cui contano i governi per impedire i controlli sull’ applicazione delle norme esistenti e continuare a ridurre sempre più i vincoli e le penali per le imprese che non rispettano le norme sulla prevenzione e la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Per questi motivi, e per i potentissimi studi legali di cui impresari senza scrupoli possono avvalersi, molte morti sul lavoro, spesso veri e propri omicidi, restano impunite a causa di rinvii continui che portano alla prescrizione o per condanne che raramente portano agli arresti.
Come Rifondazione Comunista esprimiamo la nostra vicinanza alle famiglie delle vittime auspicando che le sedute della cassazione sulla strage di Viareggio non si concludano con altri rinvii o, come temiamo, con la condanna a pene totalmente inadeguate; rinnoviamo il nostro impegno rilanciando la lotta per la sicurezza nei luoghi di lavoro e continuando a sostenere la campagna per la raccolta delle firme sulla legge di iniziativa popolare per l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro e lesioni gravi o gravissime alle lavoratrici ed ai lavoratori.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Lo stabilimento Ex Ilva di Taranto rischia la chiusura entro un mese per mancanza di liquidità e di bancabilità indispensabili per pagare i fornitori, i creditori e continuare a produrre. Non è uno scherzo è la conclusione possibile del balletto tra Mittal, il socio privato che ha il 62% di Acciaierie d’Italia la società che gestisce lo stabilimento , e il governo che fa di tutto per non assumere la maggioranza come concordato tre anni fa col governo Conte e contemplato da un decreto del 2022.
Di fronte alla necessità di ricapitalizzare per garantire le risorse necessarie per andare avanti il socio privato si rifiuta di versare la cifra corrispondente alla propria quota azionaria e chiede al governo di assumersi l’onere più corposo passando in maggioranza, ma il ministro Fitto, messo lì dal governo proprio per impedire il controllo statale dell’azienda, rifiuta.
Se perdurasse questo stallo il 10 gennaio, quando scadrà la proroga per la fornitura del gas imposta dal Tar Lombardia, mancheranno i 320 milioni necessari per mandare avanti la produzione e su Acciaierie d’Italia calerà il sipario.
Così, complice il governo, La multinazionale franco-indiana porta a compimento quello che è il suo obiettivo da sempre: passare dalla progressiva consunzione perseguita con metodo nel tempo, alla chiusura degli stabilimenti e all’eliminazione di un concorrente nel mercato dell’acciaio.
E’ questa la realtà che i governi succedutisi negli ultimi anni non hanno voluto vedere nonostante il calo drastico della produzione, oggi ridotta al minimo storico di 3 milioni di tonnellate, i 3500 lavoratori in cassa integrazione a rotazione, i mancati pagamenti ai fornitori, il deperimento degli impianti e la riconversione mai avviata, le bonifiche ambientali in alto mare.
Se non vogliono rendersi responsabili del disastro annunciato i sovranisti di casa nostra assumano rapidamente l’unica decisione in linea con gli interessi del Paese che permetterebbe la salvaguardia di una produzione strategica, la riconversione ecologica della produzione, la bonifica completa del sito produttivo e l’occupazione di tutte le maestranze: la nazionalizzazione di Acciaierie d’Italia.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

La legge di bilancio non è stata ancora varata che il governo ha già avviato le privatizzazioni di asset pubblici con le quali prova a far quadrare dei bilanci messi fortemente a rischio da uno scenario previsionale che definire ottimista è poco.
La svendita sul mercato del 25% del monte dei paschi di Siena è una mossa disperata per fare urgentemente cassa visto che, nonostante la domanda abbia superato di ben cinque volte l’offerta, il prezzo medio di acquisto è stato di circa il 5% inferiore ai valori attuali di borsa.
Che non si sia trattato propriamente di un affare è confermato dal fatto che Il ricavato è pari a circa 920 milioni di euro, una cifra paradossalmente molto simile all’utile netto che la banca ha realizzato nei soli primi nove mesi dell’anno.
La svendita di Mps è solo l’inizio di un piano di privatizzazioni di ben 20 miliardi di beni pubblici con cui i sedicenti sovranisti di casa nostra confermano la loro totale subalternità ai diktat della commissione europea, e un occhio alle agenzie di rating, nonostante le nefaste conseguenze sociali ed economiche che determineranno per il paese.
Rientra perfettamente nella linea neoliberista che taglia le pensioni e la sanità pubblica e prepara un ritorno all’austerità che colpirà duramente il lavoro e i ceti popolari mentre crescono le spese militari e le iniquità fiscali a vantaggio dei ricchi,
La cessione di Mps che avrebbe potuto fare da base per la costruzione di un polo bancario pubblico conferma inoltre la volontà delle destre di continuare ad abdicare al ruolo di indirizzo delle scelte economiche e produttive del paese lasciandole nelle mani del mercato responsabile del declino economico che stiamo vivendo.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro e Ufficio credito del Prc

Care, cari,
Vi inviamo, in allegato, il volantino sulla legge finanziaria varata dal governo delle destre che si inserisce appieno nel solco delle politiche neoliberiste a vantaggio dei ricchi e contro le lavoratrici e i lavoratori, le/ i pensionate/i, i ceti popolari e il welfare.
Invitiamo tutti i regionali e le federazioni a utilizzarlo sviluppando le iniziative del partito e di Up contro il governo fascioleghista anche in collegamento col percorso di sostegno alle mobilitazioni promosse da Cgil e Uil e da altre organizzazioni sindacali come l’Usb contro il governo e per il rinnovo dei contratti.

La nostra iniziativa è molto importante per realizzare intorno a queste lotte le convergenze più ampie possibili di soggetti sociali che soffrono le tante e diverse contraddizioni generate da un sistema iniquo nella prospettiva di riunificarli nella lotta antiliberista e per il cambiamento.
L’unificazione dei soggetti e delle lotte deve svilupparsi in collegamento con l’impegno per garantire continuità alle lotte e far crescere di molto il livello dei conflitti unica strada per battere questo governo e le sue scelte.

Proponiamo che i regionali, sentite le federazioni, si facciano carico della stampa in modo da permettere anche alle situazioni meno organizzate di avere i volantini in tempo utile e anche perché così si riesce a ridurre i costi.

Cari saluti e buon lavoro

Antonello Patta
Segreteria nazionale, responsabile Lavoro Prc-Se

Care, cari,

siamo in dirittura d’arrivo con la campagna per la raccolta firme sul salario minimo. Grazie all’impegno profuso dalle compagne e dai compagni in tutta Italia abbiamo superato le 50 mila firme previste per portare alla discussione in parlamento le leggi di iniziativa popolare. Ora siamo chiamati a un ultimo sforzo per superare significativamente il numero minimo richiesto e dare così il massimo di rilevanza alla proiezione esterna della bella lotta politica che stiamo portando avanti.

Pertanto invitiamo tutte le federazioni e i circoli ad intensificare i banchetti nelle due settimane mancanti.
Ora è necessario porre la massima attenzione agli aspetti organizzativi e burocratici legati alla raccolta e alla verifica della regolarità dei moduli con le firme.
A questo scopo il dipartimento organizzazione ha predisposto un gruppo di lavoro che sarà operativo nella sede nazionale dal 14 novembre fino alla data della consegna in Senato, intorno al 28 di novembre.

Pertanto chiediamo ai regionali e alle federazioni di:

-inviare subito alla sede nazionale i moduli già pronti con le firme e le certificazioni; ricordiamo l’indirizzo: Partito della Rifondazione Comunista, via degli Scialoja n°3, 00196 Roma.

-accelerare la certificazione delle firme già raccolte in modo da non trovarsi né localmente né nazionalmente un sovraccarico di lavoro all’ultimo momento.

Pur sapendo che per molte e molti non ce ne sarebbe bisogno vi ricordiamo una serie di controlli utili per evitare errori che potrebbero portare all’annullamento delle firme:

-Controllare che in calce al modulo nello spazio riservato all’autenticazione non risulti indicato un comune fuori dall’ambito territoriale di competenza dell’ufficio che li ha vidimati;

-lo stesso ragionamento vale per gli autenticatori e il loro ambito di competenza.

-controllare che il numero indicato nell’autentica coincida col numero delle firme contenute nel modulo. In caso contrario vengono annullate tutte;

-verificare che i dati presenti sul modulo corrispondano a quelli indicati nel certificato elettorale, pena l’annullamento;

-controllare che la data dell'autentica non sia antecedente a quella di vidimazione né successiva a quella della certificazione elettorale;

-la sequenza temporale delle date è la seguente: prima la vidimazione, successivamente l’autentica e infine la certificazione.

In conclusione vi chiediamo, anche per facilitare il lavoro del nazionale, di indicare per ogni modulo il numero di firme effettivamente certificate.

Buon lavoro a tutte e tutti!

Maurizio Acerbo, Segretario nazionale Prc-Se
Antonello Patta, segreteria nazionale, responsabile Lavoro Prc-Se
Ezio Locatelli, segreteria nazionale, responsabile nazionale Organizzazione Prc-Se

La promessa eliminazione della legge Fornero e la pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, principale cavallo di battaglia di Salvini nella campagna elettorale è stata tradita. Non solo non si vede all’orizzonte quota 41, ma nella bozza di bilancio appena uscita il governo delle destre peggiora i meccanismi della Fornero che allontanano l’età pensionabile aggravando anche i requisiti anche delle uscite flessibili.
La stretta più rilevante riguarda il passaggio da quota 103 a quota 104, 63 anni di età e 41 di contributi per andare in pensione, per di più accompagnata da penalizzazioni economiche per chi vi accede e da premi per chi continua a lavorare. Il requisito per l’accesso all’ape sociale viene innalzato a 63 anni e 5 mesi; viene ugualmente innalzata, questa volta di un anno, da 60 a 61 anni la soglia d’accesso per la platea di lavoratrici che possono usufruire dell’opzione donna; resta lo sconto di 12 mesi in presenza di un figlio, di 24 con nel caso siano due.
Nella direzione di spingere sempre più in alto l’età pensionabile va l’innalzamento da 2,5 a 3,3 volte l’assegno sociale l’ammontare dei versamenti necessari per accedere alla pensione con 64 anni di età e 20 di contributi.
Il lavoro di cesello finalizzato a rendere più difficile l’uscita dal lavoro si arricchisce di altri due trappole: il meccanismo che aumenta ciclicamente il requisito di età per andare in pensione precedentemente congelato fino al 2026 torna in vigore già dal 2024; le finestre d’uscita vengono allungate da 3 a 6 mesi nel privato e da 6 a9 mesi nel pubblico.
Anche le promesse elettorali di forza Italia vengono sbugiardate visto che nella bozza della legge non si trova nessun cenno alla supervalutazione delle minime per chi ha più di 75 anni né ci sono miglioramenti per chi ne ha più di 65.
Sempre in tema di assegni pensionistici c’è una brutta notizia per i dipendenti pubblici che sono nel sistema misto cui sarà applicata una riduzione della quota retributiva della pensione.
Il ministro Salvini non può guardare da un’altra parte cavalcando la nuova bandierina del ponte sullo stretto per far dimenticare le promesse sulle pensioni. Se avesse un minimo di serietà la scelta sarebbe una sola: dimissioni!

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro del PRC/SE

Una manovra di bilancio con molto fumo in funzione delle elezioni europee quella licenziata ieri dal governo Meloni. Già lo si capisce considerando le due misure bandiera, il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, che da sole assorbono circa 15 miliardi, propagandate come importanti sostegni al lavoro.
Il taglio del cuneo fino ai 35 mila euro, oltre che valere per il solo 2024,il tempo delle europee appunto, non fa che confermare i salari attuali mentre l’accorpamento delle aliquote porta 20 euro al mese al lavoratore o lavoratrice che supera il reddito di 28 mila euro e solo dieci a chi ha un salario di 14 mila euro.
Cifre irrisorie rispetto a salari che solo negli ultimi due anni hanno perso il 20% del potere d’acquisto e per i milioni di lavoratori poveri cui viene anche negata l’introduzione di un salario minimo legale secondo Costituzione.
Per un’analisi dettagliata aspettiamo che il fumo della propaganda si diradi e di vedere i numeri veri, ma sulle voci di spesa principali alcune cose si possono già dire.
Per quanto riguarda la sanità la propaganda non può nascondere che c’è una riduzione reale rispetto al Pil e che i soldi stanziati non coprono nemmeno gli aumenti generati dall’inflazione mentre ben 600 milioni sono un regalo per i privati; insomma niente per potenziare una sanità che, dopo decenni tagli, solo per stare nella media europea avrebbe bisogno di 48 miliardi.
Si continua con i tagli alla Pubblica Amministrazione centrale e territoriale, 4 miliardi, mentre aumentano le spese militari e si buttano 12 miliardi in tre anni per la bandierina di Salvini, il ponte sullo stretto.
Il clamoroso e rapido ritorno alla Fornero, di cui la Lega aveva giurato l’abolizione, è la cifra di questa finanziaria per quanto riguarda il capitolo pensioni che prevede per ora il passaggio a quota 104 con penalizzazioni all’uscita; va aggiunto il mancato recupero totale dell’inflazione per pensioni superiori a 4 volte la minima.
Una manovra da bocciare dunque. Tutta tesa a rassicurare Bruxelles e i mercati mentre non si prendono i soldi dove ci sono con una lotta vera all’evasione fiscale che ha raggiunto dimensioni mostruose, una tassa sulle grandi ricchezze, l’eliminazione delle tante flat tax che sottraggono al fisco cifre enormi.

Tutto questo mentre si continua a non fare niente per l’occupazione e il lavoro povero, si prosegue con i tagli al pubblico e all’welfare, si fanno nuovi regali alle imprese senza uno straccio di politica economica, non si investe seriamente per trar fuori dalla povertà milioni di lavoratori/trici e pensionati/e.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro del PRC/SE

Care compagne, cari compagni,

è convocata con la massima urgenza una riunione straordinaria de* segretar* e de* responsabili Organizzazione regionali e di federazione per giovedì 19 ottobre alle ore 19.00 con all’ordine del giorno la campagna per il salario minimo.
Giovedì mancherà meno di un mese alla conclusione della campagna ed è indispensabile fare il punto e concordare lo sforzo necessario per raggiungere l’obiettivo previsto che al momento appare a rischio.

Per questo vi chiediamo di dare a questo appuntamento la priorità rispetto a tutto il resto.

Vi potete collegare al questo link.

Fraterni saluti

Maurizio Acerbo, Segretario nazionale Prc-Se
Antonello Patta, segreteria nazionale, responsabile Lavoro Prc-Se

Missione compiuta. Il CNEL composto da una maggioranza di componenti indicati dal centrodestra boccia, in nome e per conto del governo, l’introduzione di un salario minimo legale nel nostro paese. Il salario minimo non serve in quanto, come prevede la direttiva europea in materia, non è necessario nei paesi come l’Italia in cui la contrattazione collettiva copre più dell’80% dei lavoratori; è questa la conclusione del documento approvato a maggioranza dall’assemblea del CNEL.
Ma il documento approvato dall’ente guidato dal ministro della guerra ai dipendenti pubblici non si ferma qui, nega anche la necessità del salario minimo sia nei settori in cui la contrattazione è debole sia nei casi in cui la contrattazione è assente.
Siamo all’opposto di quanto sancito dalla Cassazione che con sentenza ha ristabilito Il “ diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e comunque sufficiente a garantire a sé e alla propria famiglia una vita dignitosa” stabilito dall’art 36 della Costituzione.
Una sentenza che, esplicitando la prevalenza della Costituzione anche sui contratti firmati dai maggiori sindacati nazionali e dichiarando illegali i salari da fame che prevedono, introduce di fatto la necessità di una legge in materia salariale.
Il governo, le associazioni datoriali e sindacati come la Cisl: che in assemblea ha votato con la maggioranza, sono serviti: per il Cnel è giusto che le imprese continuino ad avere un gigantesco serbatoio di manodopera a basso prezzo, che restino le disuguaglianze tra i lavoratori, specie quelle di genere che rendono il mondo del lavoro ricattabile e disposto a salari da fame e senza diritti.
Per il resto il documento contiene generiche raccomandazioni e proposte evasive di cui sono pieni gli annali degli atti parlamentari e che certamente non saranno tra le priorità del governo in carica: fumo negli occhi.
Mentre il governo si appresta dunque a ignorare la richiesta che sale dal 75% delle italiane e degli italiani a favorevoli al salario minimo legale noi intensificheremo nelle piazze di tutta Italia la raccolta firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare, presentata come Unione Popolare, per il salario minimo che presenteremo a breve in parlamento.
Una legge, la nostra che prevede un salario minimo di 10 euro l’ora agganciato automaticamente all’inflazione e pagato dalle imprese, non dallo stato, è la giusta risposta alla domanda che arriva dal mondo del lavoro tutto.
10 euro è il minimo per una vita dignitosa.

Antonello Patta, responsabile lavoro PRC-S.E.

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