Antonello Patta*

In aprile l’inflazione continua a correre smentendo tutte le previsioni ottimistiche di governo e operatori economici e finanziari. In aprile, ci informa l’Istat, i prezzi tornano a crescere dello 0,5% portandosi sull’8,3% su base annua, il carrello della spesa che incide più pesantemente sui redditi medi e bassi continua a registrare più del 12%.
Da mesi ci bombardano a reti unificate sui rischi di una spirale prezzi-salari attribuendo a ciò la possibilità di una ripresa dell’inflazione; un’operazione ideologica vergognosa in un paese in cui i salari medi sono fermi ai livelli più bassi d’Europa, non si rinnovano i contratti a milioni di lavoratori e i contratti firmati registrano un ulteriore arretramento dei salari reali, milioni di lavoratori sono poveri pur lavorando a tempo pieno.
Si inserisce in questo clima la manovra sul cuneo fiscale che concede un bonus per 5-6 mesi pagato con il taglio del reddito di cittadinanza e con l’aumento delle tasse a carico dei lavoratori causato dal fiscal drag che anche questo governo non si sogna di neutralizzare; ed è già noto che, stante la stangata prevista dal governo per i prossimi anni nel documento di economia e finanza, da gennaio 2024 non ci saranno i soldi per confermare la misura per un altro anno.
Una misura, fortemente voluta da Confindustria, che poi paghiamo tutti in termini di minori entrate per lo stato e che risponde a un tacito accordo, condiviso anche da parti rilevanti del mondo sindacale, inteso a evitare l’apertura di una stagione di lotte per aumenti generalizzati dei salari e l’introduzione di un salario minimo legale che garantiscano il dettato dell’art 36 della costituzione.
Una ripresa delle lotte resa tanto più urgente in quanto la vera causa dell’inflazione in questo momento è la spirale prezzi-profitti come ammesso dalla stessa Bce che mentre attua una politica monetaria recessiva ci informa che i due terzi degli aumenti dei prezzi sono dovuti alla crescita esponenziale dei profitti; a riprova che i padroni la lotta di classe la sanno fare e non si fanno scrupoli sugli effetti sociali della loro voracità.
Tutto ciò può avvenire grazie alla complicità del governo, di destra e neoliberista, che non tassa gli extraprofitti di imprese e banche, non pone limiti ai prezzi e alle tariffe, non fa nulla per tutelare seriamente salari e pensioni, estende la precarietà al fine di spingere i salari sempre più in basso.

*responsabile nazionale lavoro, Partito della Rifondazione Comunista- Sinistra Europea
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Il governo Meloni prosegue le politiche neoliberiste che scaricano i costi della crisi prodotta dalla guerra e dalle sanzioni sulle classi lavoratrici e i ceti popolari.
Col documento di economia e finanza varato si prevede una brutale stretta fiscale di circa 70 miliardi e a regime un avanzo primario di 45 miliardi. I finti sovranisti nostrani sono allineati agli ordini dei falchi europei e rilanciano la fallimentare politica dell’austerità che come in passato colpirà duramente i ceti popolari, peggiorerà la situazione economica del paese aumentando ancora di più il divario dell’Italia dal resto d’Europa e del sud dal nord del nostro paese.

Vedremo riduzioni reali alla spesa per la scuola, la sanità, i servizi, tagli pesanti ai fondi per i contratti dei pubblici dipendenti, per i salari e per il sostegno alle famiglie contro il carovita; in soffitta la tanto decantata promessa di cancellare la Fornero.
Con un’arroganza e una demagogia senza limiti Il governo postfascista si riunisce il primo maggio per sancire la cancellazione del reddito di cittadinanza, ampliare la platea della manodopera precaria a basso costo attraverso l’estensione del ricorso ai contratti a tempo determinato, ridurre demagogicamente il cuneo fiscale (per cinque mesi) proprio mentre coi tagli alla spesa verranno colpiti pesantemente occupazione e salario indiretto.
Tutto ciò mentre Continuano ad aumentare le spese militari a sostegno delle spinte guerrafondaie della Nato, si riducono le tasse agli autonomi e alle rendite, non si tassano gli extraprofitti e le grandi ricchezze, si favorisce l’evasione fiscale.

L’unica strada possibile per contrastare le politiche neoliberiste del governo è l’unità del mondo del lavoro e sindacale per costruire una nuova grande stagione di lotte indispensabile per rivendicare aumenti generalizzati dei salari e delle pensioni; la reintroduzione della scala mobile per il recupero automatico dell’inflazione; un salario minimo legale di dieci euro all’ora indicizzato all’inflazione; più risorse per la sanità e la scuola pubbliche; l’abolizione di tutte le leggi che producono precarietà; la salvaguardia e l’estensione del reddito di cittadinanza.
Non ci si ripeta lo stantio refrain che i soldi non ci sono. Si può fare con: un fisco realmente progressivo da realizzare anche attraverso l’eliminazione di tutte le tasse piatte; la tassazione delle grandi ricchezze e una vera lotta all’evasione fiscale; la riduzione drastica delle spese militari; lo stop all’ invio di armi in Ucraina per una politica di pace.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

di Antonello Patta* -

La commissione europea ha presentato le proprie proposte per la riforma della governance economica europea che dovrebbe subentrare al Patto di stabilità brandito come la spada di Damocle che, senza nuove regole, tornerebbe automaticamente in vigore dal 1 gennaio 2024.
L’obiettivo dichiarato è quello di “ preparare l’UE alle sfide future sostenendo i progressi verso un’economia verde, digitale, inclusiva e resiliente e rendendola più competitiva”.
Dichiarazioni di facciata dietro cui c’è un ritorno a politiche fiscali restrittive inique che insieme alle restrizioni monetarie e creditizie prodotte dalla Bce alimentano le spinte recessive, ammazzano gli investimenti nei paesi con debiti più alti aumentano il divario tra paesi europei.
Vengono infatti confermati i vincoli del rapporto debito/pil al 60% e del disavanzo di bilancio al 3% e imposto un percorso “contrattato” di rientro nei parametri indicati, ma entro limiti temporali certi, pena l’inasprimento delle condizioni.
Questo deve avvenire sulla scorta della “traiettoria tecnica per paese” indicata dalla Commissione e contenente prescrizioni inaggirabili tra cui, per i paesi con disavanzo superiore al 3%, una riduzione annuale non inferiore allo 0,5%.
L’indicatore operativo, di cui si avvarranno i controllori europei per la sorveglianza del rispetto dei percorsi di aggiustamento di bilancio, sarà l’effettiva riduzione della spesa pubblica pluriennale dei paesi sotto esame.
Se infine a queste vincolanti indicazioni ex ante aggiungiamo la previsione, contenuta nella proposta, dell’apertura automatica, per i paesi indebitati come il nostro, di una procedura per disavanzo appare chiaro che non siamo di fronte a una restituzione agli stati della “titolarità nazionale” millantata nel testo, ma di fronte a un vero e proprio commissariamento dei paesi come l’Italia da parte dell’asse guidata dalla Germania e della Bce.
Per l’Italia è un ritorno all’austerità che come nel recente passato produrrà tagli molto duri alla spesa pubblica per scuola, sanità, servizi, con pesanti ricadute salariali e occupazionali nel pubblico e in generale con costi sociali gravissimi, riduzione dei consumi e quindi gravi ricadute recessive sull’economia del Paese.
Il governo delle destre e i partiti sovranisti che lo compongono non solo non saranno in grado di contrastare queste scelte, ma si sono allineati in anticipo con i falchi europei anticipando nel Def una stretta fiscale brutale di 70miliardi nel triennio e un avanzo primario a regime di 45 miliardi.
Il passato non ha insegnato nulla. Si torna a politiche economiche che dividono l’Europa aumentando le divergenze economiche tra paesi, massacrano l’welfare, aumentano le disuguaglianze fra popoli e stati, fanno crescere le forze che soffiano sul risentimento popolare verso un’Europa matrigna per i molti e prodiga verso i pochi.
Tutto questo mentre si spendono cifre enormi per la guerra e gli armamenti allineando il continente ai diktat di Usa e Nato.
Si allude nella presentazione delle regole all’obiettivo dell’autonomia strategica dell’Europa; in realtà Il ritorno all’austerità che si vuole attuare e la guerra producono esattamente il contrario: la fine dell’idea di un’Europa in grado di stare alla pari sul piano economico e tecnologico con i grandi attori mondiali e di svolgere un ruolo politico forte nella direzione di relazioni internazionali improntate alla pace, al multilateralismo, alla cooperazione tra i popoli.

*responsabile nazionale lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Nelle giornate del "Salone del mobile" altro “grande evento” della Milano vetrina degli affari ha fatto irruzione oggi la protesta delle lavoratrici e dei lavoratori della filiera del legno costrette/i a scioperare per denunciare il mancato rinnovo del CCNL da tempo scaduto.

Nel cuore della Milano dei grandi eventi che spende enormi cifre di denaro per l’apparenza e la sensazionalità delle iniziative si negano i soldi per le lavoratrici e i lavoratori, veri protagonisti dell’eccellenza del prodotto.

Questa mattina a Milano le lavoratrici e i lavoratori del comparto sono scesi in strada per sensibilizzare i visitatori del grande evento internazionale e contrastare l’arroganza di Confindustria del legno che, nonostante negli ultimi anni il settore abbia realizzato fatturati e profitti da capogiro, si è detta indisponibile a rinnovare i CNNL e concedere giusti aumenti salariali.

Come Rifondazione Comunista da tempo richiamiamo l’urgenza di aumenti salariali generalizzati, l’istituzione di un salario minimo legale di almeno 10 € all’ora e il ripristino di una scala mobile che consenta il recupero rispetto agli altissimi livelli raggiunti dall’inflazione a causa di guerra, sanzioni e crisi in atto.

Siamo pertanto solidali con la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori L'altra faccia del Fuorisalone indetta da CGIL, CISL e UIL.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Fabrizio Baggi, Segretario regionale Lombardia
Matteo Prencipe, Segretario Federazione provinciale di Milano
Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea

L'unione Europea interviene di nuovo sulla piaga del lavoro precario nella pubblica amministrazione in Italia. La Commissione ha intimato ancora una volta al nostro paese di smetterla con l'abuso nel ricorso a lavoratori e lavoratrici a tempo determinato nel settore pubblico e con le discriminazioni verso gli stessi.
Stiamo parlando di un sopruso che colpisce centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratrici che tengono in piedi funzioni pubbliche fondamentali e servizi indispensabili per i cittadini che senza di loro collasserebbero.
Tra questi, per fare solo alcuni esempi, 250 mila insegnanti, uno su quattro, che tengono in vita la scuola pubblica e gestiscono la formazione delle future generazioni; decine di migliaia di operatori sanitari grazie ai quali sopravvive un sistema sanitario sottofinanziato, carente di organici e di strutture; migliaia di lavoratori di servizi essenziali come i vigili del fuoco, e l’elenco potrebbe continuare.
E’ un riassunto, parziale, dell’attacco brutale dei diritti dei lavoratori e della distruzione del pubblico perseguiti da decenni da governi di ogni colore uniti nelle politiche liberiste.

La Commissione ha contestato con l’invio di un “parere motivato” la violazione della norma UE, la direttiva 1999 del 70, che prescrive il divieto di discriminare i lavoratori a tempo determinato. Se il governo attuale non interverrà entro due mesi la Commissione potrà deferire il caso alla Corte di Giustizia.
Il governo Meloni non è il solo su cui la Ue è dovuta intervenire contro il proliferare dei contratti precari, lo aveva già fatto avviando la procedura d’infrazione nel 2019 e con una nuova messa in mora nel 2020.
Sono cambiati tre governi, sono cambiati i partiti nei ministeri, le vessazioni nei confronti delle lavoratrici e di lavoratori restano.
Solo le lotte e la crescita di una soggettività politica fuori dalle logiche del pensiero unico neoliberista potranno avviare il cambiamento oggi più necessari che mai.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

di Antonello Patta* -

Il costo della vita continua a colpire sempre di più l’Italia rispetto agli altri paesi e in Italia soprattutto i ceti popolari. I dati Eurostat dicono che l’inflazione a marzo nell’area euro dovrebbe attestarsi sul 6,9%, in Spagna al 3%, ma in Italia all’8,2%. Quindi non va proprio bene come ci raccontano le destre al governo e i media al loro servizio a partire dalla Rai.

Ma è guardando dentro questo dato generale che emerge come a essere colpiti duramente sono i ceti popolari i cui magri salari finiscono in gran parte nel carrello della spesa. L’inflazione sui beni alimentari registra infatti anche a marzo tassi sopra il 15% facendo ben capire perché i consumi delle famiglie siano diminuiti nel 2022, siano raddoppiate rispetto al 2021 le famiglie in gravi difficoltà a fare la spesa e tutte le stime prevedano un peggioramento nel 2023. Nel frattempo sono aumentati i profitti, sempre a due cifre, delle catene dei discount cui le famiglie popolari sono costrette a rivolgersi per far quadrare i conti. Tutto questo, il caro prezzi che non accenna a finire, avviene, lo denunciano fonti Bce, non a causa dello spettro degli aumenti salariali, che sono fermi e quindi diminuiscono, ma a causa degli aumenti ingiustificati dei profitti delle aziende che hanno colto l’occasione per aumentare i prezzi a dismisura.

Il governo cosa fa? Continua con le politiche di austerità del governo precedente verso i ceti popolari, taglia la spesa pubblica, colpisce i lavoratori e i poveri, mentre dirotta le risorse pubbliche a sostenere rendite e profitti, taglia le tasse ai ricchi e vara norme che favoriscono l’evasione e la corruzione.
La Francia indica la strada che in Italia sarebbe ancora più urgente percorrere: quella della ripresa delle lotte per aumenti generalizzati dei salari e delle pensioni, per una nuova scala mobile, per prezzi e tariffe calmierati. E occorre subito l’introduzione di un salario minimo per legge.

*Responsabile lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Sono quasi 2.000 i lavoratori irregolari scoperti dalla guardia di finanza nella cantieristica navale di Venezia retribuiti con paghe misere e privati dei più elementari diritti. Da anni era nota la situazione di sfruttamento e illegalità all'interno della Fincantieri basata sul ricatto della Bossi Fini , sulle minacce e intimidazioni dei caporali, sulla connivenza della stessa direzione dello stabilimento
Da anni denunciamo come nel sistema degli appalti e dei subappalti senza fine si annidino spesso le più brutali forme di sfruttamento, il ricorso a tutte le peggiori forme di precarietà, gli orari di lavoro impossibili e i salari da fame resi possibili dalla ricattabilità dei lavoratori, specie quando migranti.
Ricattabilità iscritta in tutte le leggi che hanno permesso di precarizzazione del lavoro e il proliferare ovunque del sistema degli appalti. Una devastante riduzione dei diritti di cui centrodestra e centro-sinistra portano la responsabilità
Adesso con l'iniziativa della magistratura e con le recenti denunce finalmente accolte della Fiom il verminaio è sotto gli occhi di tutti e non c'è più la possibilità per qualcuno di fare finta di non vedere per decenni.
È ora di dar vita a una grande stagione di lotte per il salario e i diritti che sono tutt’uno con quelle contro la precarietà e lo sfruttamento alla Fincantieri come in ogni altra realtà.
Facciamo anche in Italia come i lavoratori e le lavoratrici francesi.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Paolo Benvegnù, segretario regionale del Veneto
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

A distanza di quasi 2 anni dai licenziamenti via mail, sconfitti con la lotta, i lavoratori della Gkn continuano ad essere un esempio straordinario per la loro resistenza, la capacità di costruire la convergenza con le altre lotte per il lavoro, quelle sociali e ambientali, di unire le competenze per progettare forme alternative di produzione.

Fallito il blitz dei licenziamenti la nuova proprietà presunta, gli accordi di acquisto con Gkn sono riservati, ha giocato la carta del logoramento dei lavoratori rinviando continuamente la realizzazione di promesse di reindustrializzazione che non aveva evidentemente intenzione di realizzare; in ciò spalleggiato dalla complicità delle istituzioni interessate.

La forza intelligente dei lavoratori ha resistito anche al tentativo feroce di piegarli lasciandoli senza stipendio da novembre 2022, è di ieri la sentenza del tribunale di Firenze che condanna la proprietà a pagare gli stipendi pieni dal 9 ottobre 2022, e continuano determinati la loro lotta in difesa dei posti di lavoro contro lo smantellamento di un’altra realtà industriale importante per i territorio.

Un esempio straordinario di resistenza certo, ma non solo. Con le loro parole d’ordine, uniamoci e insorgiamo, i lavoratori della Gkn hanno indicato la possibilità concreta e le grandi potenzialità insite nell’unificazione di lotte, vertenze e movimenti per sconfiggere l’offensiva neoliberista e far crescere la consapevolezza dell’alternativa necessaria. Con il loro progetto industriale di riqualificazione ecologica e mutualistica dell’azienda rappresentano una risposta innovativa e una denuncia dell’assenza del pubblico e di politiche industriali indispensabili per salvaguardare ‘occupazione e le produzioni all’interno di una riconversione ecologica e sociale dell’economia.

Sosteniamo la lotta dei lavoratori della Gkn fino alla vittoria perché il suo esito ci riguarda tutte e tutti. quelle/i che non si rassegnano alla devastazione sociale prodotta dal neoliberismo.
Domani 25 marzo saremo a Firenze e invitiamo ad accogliere l’invito dell’Assemblea permanente a sostenere la campagna di crowdfunding per la reindustrializzazione autogestita.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale Lavoro
Lorenzo Palandri, segretario di Firenze
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Nonostante che questa interpretazione sia stata smentita dalla banca in un incontro con i sindacati aziendali (riducendo il tutto ad una bega tra banchieri), si tratta di un potenziale pesante attacco al Contratto Nazionale di categoria che, oltre tutto, viene sferrato proprio alla vigilia dell’apertura delle trattative per il suo rinnovo. Intesa Sanpaolo dice che “affiancherà” (!!) l’ABI nel percorso negoziale ma è del tutto evidente che, se i risultati finali non saranno ritenuti adeguati, potrà decidere di procedere sulla strada “secessionista” e farsi un contratto “tutto suo”. È una notizia bomba per le relazioni sindacali del settore, sicuramente inattesa ma che, letteralmente, non si può definire “un fulmine a ciel sereno”; era da tempo, infatti, che stavano addensandosi nubi nere, foriere di sinistri presagi. Nel descrivere il contesto, vogliamo partire da una notiziola di inizio anno che non ha avuto particolari echi di stampa (tranne che sull’inesistente “Corriere dell’avidità”).

Alludiamo al fatto che, Intesa Sanpaolo, primo gruppo bancario del paese che ha chiuso il bilancio 2022 con un utile di quasi 4,5 miliardi di euro, con un comunicato tutto sostenibilità ed ecologia (un clamoroso, e un po’ ridicolo, esempio di greenwashing) ha annunciato la decisione di togliere l’acqua calda da sportelli ed uffici, iniziando a procedere di conseguenza. Fortunatamente, dopo qualche giorno, l’intervento degli RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) ha costretto i manager ad una precipitosa marcia indietro (alcune leggi ancora esistono…). Una semplice provocazione? Può darsi. Tuttavia, l’episodio è indicativo di come, sempre più spesso, siano proprio gli RLS a svolgere un ruolo succedaneo (sostitutivo?) dei sindacati aziendali nel provare a contestare, sulla base di leggi e normative vigenti, le scelte padronali che puntano a ridisegnare a proprio piacimento gli ambienti di lavoro e le modalità del loro utilizzo (il “next way of working”) ed a scaricare su lavoratrici e lavoratori i costi diretti ed indiretti della “produzione” (e le connesse tutele) quanto questa venga svolta in una qualche stanza del proprio appartamento, naturalmente ribattezzata smart. La questione centrale è che, da alcuni mesi e con una progressione inquietante, i vertici della banca hanno deciso di buttare nella spazzatura (senza più nemmeno infingimenti formali) la vecchia (e dannata) prassi della concertazione, procedendo in una serie di iniziative unilaterali che toccano le colonne portanti della contrattazione collettiva: il salario e l’orario.

La “modernità” delle proposte su settimana corta e smart working (propagandata con enfasi dalla stampa amica) nasconde, in realtà, quanto di più antico ci sia nei desiderata dei padroni: frantumare la compagine lavorativa, individualizzare i contratti, trasformare i diritti in richieste sottoposte al potere del ricatto. Una scelta arrogante, per l’appunto, e secondo molti persino “sciocca” dal momento che i sindacati aziendali (che vengono umiliati e marginalizzati) non si sono certo distinti, per lo meno negli ultimi quindici anni, per combattività e radicalità; gli ultimi scioperi di gruppo, per limitarsi ad un esempio, si perdono nella notte dei tempi. Ed è particolarmente significativo il fatto che la banca abbia deciso di disdettare anche quell’accordo del 2017 che introdusse il mostruoso “contratto ibrido” (che mette insieme, nella stessa figura professionale, il lavoro subordinato e quello autonomo) ed i cui destinatari, infatti, sono stati popolarmente definiti “minotauri”. Per quell’intesa (definita “sperimentale”) i sindacati aziendali ricevettero non pochi rimbrotti da parte delle sigle di settore (e non era la prima volta…) in quanto era evidente il suo carattere potenzialmente eversivo rispetto alla tenuta del contratto nazionale.

Ora, a far saltare l’accordo, è stato sufficiente il rifiuto sindacale a rimuovere l’unica clausola in qualche modo tutelante (la possibilità per i “minotauri” di diventare lavoratori dipendenti a tempo pieno dopo due anni). Infastidita da lacci e lacciuoli la banca proverà anche qui ad andare avanti da sola, non bastandole più la pratica vendicativa di spostare a centinaia di chilometri di distanza dalla loro residenza i poveri “minotauri” che decidono di lasciare “l’esperimento”. E a proposito di ripicche, dietro lo schiaffone tirato all’ABI, c’è chi ha voluto vedere il fastidio per il fatto che il CASL (Comitato per gli affari Sindacali e del Lavoro), proprio l’organismo al quale è stata ritirata la fiducia, è stato affidato da dicembre scorso ad un esponente di Unicredit dopo anni nei quali era quasi sempre stato diretto da un alto dirigente di Intesa Sanpaolo. Per carità, ci sta tutto (viste anche le dichiarazioni della banca), anche se il contesto descritto induce a pensare a motivazioni ben più di sostanza. È la dottrina Marchionne (afflitta sin dalla nascita dalla sindrome dei “primi della classe”) che prova a farsi strada nel settore. In realtà, per quanto concerne il comparto assicurativo, un precedente c’era già stato nel 2014 con l’uscita di UnipolSai da ANIA (ahi, lo spirito cooperativo!!). Ma questa volta la dimensione del problema è decisamente diversa. Intesa Sanpaolo, forte dei tanti favori scambiati con i governi di ogni sfumatura del solo colore possibile, è un attore chiave dell’economia nazionale.

Non solo è la prima banca del paese ma è anche il primo datore di lavoro privato in assoluto e occupa quasi un terzo dei dipendenti oggi coperti dal contratto ABI. E ora, naturalmente, occorrerà vedere le contromosse di Unicredit, che, già anni fa, si vociferava avesse intenzioni simili. Non è da escludere che i bancari potrebbero anche non avere più, nel prossimo futuro, un vero e proprio contratto nazionale di riferimento. In fondo sono passati solo dodici anni da quando Fiom, sinistra Cgil e sindacati di base invocavano lotte più incisive ricordando che quello che stava capitando in Fiat poteva, presto o tardi, toccare a chiunque altro. Occorre purtroppo ribadirlo. I padroni, i ricchi, i potenti stanno vincendo la lotta di classe anche perché sono perfettamente consapevoli di combatterla ed aprono costantemente nuovi fronti alimentando quella spirale, in apparenza inesorabile, che punta alla svalorizzazione del lavoro a vantaggio di profitti e rendite. Rifondazione Comunista si impegnerà affinché le lavoratrici ed i lavoratori di Intesa Sanpaolo e di tutto il settore acquisiscano rapidamente piena consapevolezza della portata dello scontro che si è aperto e premano sulle organizzazioni sindacali perché escano da quell’angolo nel quale, con concorso di colpa, si sono fatte cacciare.

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Dipartimento Lavoro
Ufficio Credito ed Assicurazioni

Il taglio del reddito di cittadinanza proposto dal governo Meloni è un'infamia. Questo è un governo classista che riesce a essere più antipopolare di Draghi. Non si vive con 375 euro al mese. Ma non basta: si riceverà solo per un anno, prorogabili di 6 mesi, poi sospensione per 18 durante i quali non si capisce come possano vivere i disoccupati. Inoltre si abbassa la soglia ISEE per avere diritto da 9360 euro a 7200.

Questo è un governo contro i poveri. Quelli che arrivano dal mare li fa morire annegati, quelli che vivono in Italia li farà morire di fame.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro di Rifondazione Comunista

Oggi, 7 marzo, la Francia si ferma in occasione di un nuovo sciopero generale contro il progetto di legge che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni voluto caparbiamente da Macron e in discussione in parlamento.

I sindacati francesi uniti proseguono la mobilitazione contro la prepotenza di Macron, il riferimento del PD e di Calenda, che va avanti a testa bassa infischiandosene della grande impopolarità del provvedimento in Francia.
Di fronte alla chiusura e all’arroganza mostrate dal governo anche di fronte alle 5 giornate di mobilitazione di gennaio lo sciopero di oggi si propone di bloccare il paese.
I preparativi degli ultimi giorni hanno già fatto capire che si annuncia una mobilitazione imponente per salvaguardare il diritto alla pensione e contro un governo che si pone chiaramente l’obiettivo di demolire la forza del movimento dei lavoratori.

La lotta delle lavoratrici e dei lavoratori francesi è un segnale di grande importanza per tutti i lavoratori europei e in special modo per quelli italiani di fronte a un governo Meloni che proseguendo sulla linea Draghi e dimentico delle promesse elettorali procede al progressivo aumento dell’età pensionabile.
Noi pensiamo che la miglior risposta a quel segnale consista nell’unirsi alle lotte in Francia in una vasta mobilitazione europea contro la demolizione della previdenza pubblica come punto di partenza per una riscossa antiliberista in tutto il continente.

Questo è l’impegno di Rifondazione Comunista che insieme alle forze della Sinistra Europea solidarizza con la giusta lotta dei lavoratori francesi che riguarda tutte e tutti.
I sondaggi in Francia dicono che più del 60% della popolazione è dalla parte dei sindacati.
Invitiamo i sindacati italiani e in particolare la Cgil che si avvia al congresso a prendere esempio dedicare attenzione dal colossale movimento francese che ha visto creato dai sindacati coinvolgere coinvolgendo tutti i movimenti sociali, le donne e le giovani generazioni su una piattaforma assai avanzata. Come abbiamo sempre proposto è ora di intraprendere anche in Italia una mobilitazione che abbia come obiettivo l'abolizione della legge Fornero, un drastico abbassamento dell'età pensionabile a 60/62 anni e il ritorno al sistema retributivo che in Francia c'è ancora. Facciamo come in Francia!

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Un gruppo di lavoratori della Portovesme srl, l’unico produttore italiano di zinco e piombo da primario, si è arrampicato su una ciminiera alta cento metri contro l’annunciata la cassa integrazione per 1500 lavoratori e il licenziamento di 62 di loro che lavorano da anni come interinali.
I lavoratori sono stati costretti a questo gesto estremo dalle inadempienze del governo e della Regione che continuano a non assumere impegni concreti e linee strategiche chiare per la risoluzione della crisi che grava sullo stabilimento, la cui produzione è definita dallo stesso ministero d’importanza strategica nazionale.
la mobilitazione è scattata oggi come risposta al non rispetto degli impegni assunti formalmente in un incontro del 20 gennaio tra azienda, Regione e le organizzazioni sindacali, che prevedevano la presentazione entro il 28 febbraio di soluzioni in grado di tutelare occupazione e produzione.
Si ripete anche in quest’area della Sardegna, in grave sofferenza sociale per le decine di migliaia di disoccupati, una storia di spoliazione del tessuto produttivo del territorio dovuta alla sottomissione dei governi alle logiche del mercato nell’assenza totale di linee d’indirizzo e politiche industriali in grado di salvaguardare i posti di lavoro e le produzioni a partire da quelle strategiche minacciate.
Rifondazione Comunista solidarizza con la mobilitazione dei lavoratori della Portovesme ed è pronta a sostenere l’estensione della lotta che si renderà necessaria per fermare l’ennesimo attacco all’economia del territorio all’occupazione e alle condizioni economiche dei lavoratori e delle loro famiglie.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Enrico Lai, segretario regionale della Sardegna
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

portovesme28

Si chiamava Alberto Motta il giovane operaio di 29 è morto stamani all’alba mentre lavorava nel porto di Civitavecchia; Quest’ennesimo delitto si consuma a meno di 24 ore dalla morte di un altro operaio, Paolo Borselli, morto ieri al molo 7 del porto di Trieste; ancora altri morti , altre famiglie nella sofferenza e nel lutto.
Non c’è giorno ormai che la classe operaia di questo paese non versi il proprio tributo di sangue e di dolore in luoghi di lavoro nei quali fatica per garantire l’esistenza a se stessi e ai propri cari.

E’ una strage senza fine resa ancor più insopportabile dai media che continuano a etichettare questi tragici fatti come incidenti sul lavoro, termine che veicola l’idea che un certo tasso di casi stia nelle cose, che sia inevitabile; che non siano le condizioni di lavoro a determinarli ma elementi fortuiti, quando non la stessa distrazione del lavoratore.

E invece no! Non è il destino cinico e baro che uccide più di tre lavoratori o lavoratrici tutti i giorni. È ampiamente verificato che nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a veri e propri omicidi evitabili determinati da condizioni quali non rispetto delle norme di sicurezza, super sfruttamento, mancanza di dispositivi o addirittura distacco di sistemi di protezione.

Se a questo si aggiunge l’allentamento progressivo delle sanzioni e del rischio penale per mancata applicazione delle norme e assoluta insufficienza di controlli succede che molte imprese preferiscono puntare sulla possibilità di farla franca invece che investire sulla salute e la sicurezza dei propri dipendenti.

Siamo sentitamente solidali con la famiglia e i colleghi di questa ennesima vittima di un sistema che ogni giorno mette migliaia di lavoratori e lavoratrici a rischio della vita in nome del profitto.

Sosteniamo la decisione delle organizzazioni dei lavoratori del porto di indire uno sciopero di 24 ore, ma pensiamo che occorra generalizzare le iniziative per far assurgere quella dei morti sul lavoro al rango di questione nazionale da risolvere una volta per tutte costringendo chi governa a smetterla di essere complice di questa orribile strage.

Basta morti sul lavoro!

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

La dirigenza del gruppo ha espresso l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Longarone. L’annuncio comunicato direttamente alla stampa smentisce spudoratamente gli accordi firmati dall’azienda nel 2019 e avviene dopo un anno di aumento dei ricavi di un miliardo.

Considerando poi che Lo stabilimento di Longarone venne costruito grazie agli ingenti contributi ricevuti per le leggi speciali per la ricostruzione dopo il Vajont, strage di stato, è chiaro come siamo all’ennesimo esempio di una azienda che in forme tracotanti e volgari mostra il disprezzo per i lavoratori e non si fa problemi a sfregiare un territorio cui deve la sua fortuna.

È un’altra perfetta manifestazione dell’arroganza delle multinazionali che spadroneggiano impunemente nel nostro paese: prendi i soldi pubblici, sfrutta i lavoratori e il territorio e poi scappa all’estero.

Tutto ciò è inaccettabile! Rifondazione lo ha detto nel 2019 e lo ribadisce oggi: chiudere SAFILO significa non solo mettere in crisi la possibilità di sopravvivenza di molti lavoratori, ma la tenuta sociale e produttiva di un’intera Provincia. Un territorio difficile che sconta un calo demografico importante, che in questi anni ha subito molte chiusure molte dismissioni e difficilmente è in grado di assorbire circa 500 lavoratori.

Chiudere Safilo è una offesa per i lavoratori che in questi anni hanno dato al gruppo Safilo più di quanto ricevuto permettendogli di arricchirsi; è una offesa per i morti del Vajont, è una offesa per tutti quelli che giorno dopo giorno decidono di vivere in questa Provincia.

La fabbrica non deve chiudere, la multinazionale va fermata!

Per questo Sosteniamo lo sciopero indetto per oggi dai sindacati confederali e anche per dire alla politica locale di occuparsi meno dei grandi eventi e di più del grande problema di questa nostra terra: le tante chiusure di aziende e il progressivo depauperamento del tessuto produttivo del territorio, altrettante aggressioni alla dignità dei lavoratori e delle loro famiglie in nome del primato del profitto.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Moira Fiorot, segretaria provinciale della federazione di Belluno
Partito della rifondazione Comunista/Sinistra Europea

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