La nomina dei nuovi direttori del teatro Argentina di Roma e del Mercadante di Napoli è l’ennesima prova della volontà di questo governo di distruggere il pluralismo culturale, la libertà d’espressione, la ricerca, l’innovazione e la sperimentazione. La cultura fa paura e va controllata, con tutti i mezzi. Ma è la prova anche dell’inesistenza di una vera opposizione istituzionale con un progetto culturale alternativo.

Le nomine delle direzioni artistiche dei teatri stabili devono avvenire in base a concorsi pubblici e su progetti culturali almeno triennali, altrimenti finiranno sempre nelle mani dell’ assessore di turno, più o meno “illuminato”.

Lo spettacolo dal vivo ha bisogno di una vera riforma di sistema, di poter contare su risorse certe e su metodologie trasparenti; i teatri pubblici devono poter diventare luoghi realmente pubblici di formazione, di sperimentazione e di ricerca, legati al territorio e aperti ai giovani e alle scuole.

Stefania Brai
Responsabile nazionale cultura Prc

Roma, 21 dicembre 2010

Dalla Costituzione della Repubblica italiana:

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo:

“Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.” 
 
Documento del Dipartimento cultura del Prc

LAVORO CREATIVO 
Arte, diritti, rete

“Rifondazione comunista considera la conoscenza e in essa la cultura un bene comune, come l’acqua, un diritto inalienabile e non privatizzabile, come la salute. 
E poiché è un bene comune e un diritto inalienabile, lo Stato deve mettere in atto politiche pubbliche che garantiscano a tutti il diritto di accesso alla produzione della cultura e il diritto di accesso alla fruizione della cultura.

Diritto di accesso alla produzione

Noi pensiamo che alla base di qualunque politica per garantire l’accesso alla produzione debba esserci il riconoscimento del lavoro creativo e artistico come lavoro e che quindi vada riaffermata con chiarezza l’importanza di leggi che tutelino:

1. il diritto d’autore come diritto al compenso economico del lavoro creativo ed artistico. Diritto irrinunciabile; 
2. il diritto d’autore come diritto morale: diritto cioè al controllo dell’integrità e del destino della propria opera. Diritto non contrattabile ed irrinunciabile; 
3. il copy left come diritto di scelta autonoma dei singoli autori, relativo esclusivamente al compenso economico; 
4. la possibilità di utilizzare un regime di creative commons per gli autori che autonomamente scelgano di farlo, con l’assistenza informativa della Siae; 
5. la “copia privata”, il compenso cioè sotto forma di “risarcimento” per la possibilità di riproduzione privata per uso personale e senza scopo di lucro di un’opera diffusa sui canali televisivi pubblici e privati;  
6. l’ “equo compenso”, la remunerazione spettante agli autori di opere cinematografiche per la messa in onda delle loro opere (comprese le repliche) sui canali televisivi pubblici e privati.

Diritto di accesso alla fruizione

Perché la conoscenza sia realmente un bene condiviso, noi pensiamo che vadano attuate politiche che garantiscano il diritto di accesso alla fruizione della cultura e che si basino, tra l’altro, su:

1. riduzione dell’iva al 4 percento per tutti i prodotti e le attività culturali;

2. possibilità  di scaricamento di opere audiovisive o musicali dalla rete ad esclusivo uso personale. L’autore viene risarcito dal provider con una sorta di royalty sugli abbonamenti, tramite cioè la costituzione di un “fondo unico per il lavoro creativo” sul quale viene versato il 50 % dell’iva proveniente dai costi di connessione alla rete. Le entrate del Fondo saranno ripartite tra gli autori le cui opere sono state messe a disposizione in rete e scaricate gratuitamente;

3. lotta alla pirateria a fine di lucro;

4. depenalizzazione dello scaricamento illegale ad esclusivo uso personale;

5. tariffe agevolate per i minori di 18 anni in tutti i luoghi di fruizione della cultura: teatri, cinema, musei, concerti, biblioteche, archivi, eccetera;

6. estensione a tutto il territorio dell’accesso alla banda larga;

7. per tutti gli archivi pubblici e tutti i soggetti finanziati da canone (cineteca nazionale, discoteca di Stato, archivi Rai, Biblioteca nazionale, eccetera) obblighi di:

a. fornire gratuitamente copia delle opere conservate alle scuole pubbliche;

b. fornire gratuitamente copie delle opere conservate per esclusivo uso culturale;

c. fornire gratuitamente all’autore per uso personale brani o parti della propria opera;

d. fornire gratuitamente brani o parti delle opere conservate per opere di montaggio che abbiano esclusivamente uso culturale e che non siano destinate alla commercializzazione. La trasmissione di opere di montaggio da parte della Rai – in quanto società concessionaria di un servizio pubblico – è da considerarsi “uso culturale”. Altra cosa è naturalmente se la Rai “commercializza” tali opere;

e. garantire l’accesso al pubblico dei propri archivi. 

Voglio raccontarvi una storia che, nel panorama della crisi economica in corso, riguarda un gruppo di persone distribuito su tutta la penisola che costituisce una professionalità storicamente consolidata, ma che qualcuno ha deciso non debba esistere più.

Questa è la storia dei proiezionisti cinematografici, persone che in questo paese hanno rappresentato l’ultimo anello di una catena di distribuzione e fruizione del prodotto film cinematografico.

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È difficile parlare delle politiche per il cinema – di quelle che bisognerebbe mettere in atto, a mio parere – senza parlare prima delle politiche attuate da questo governo nei confronti della cultura e quindi del cinema. Senza avere presente cioè lo stato delle cose che vogliamo cambiare. Ma per fare questo bisogna anche avere bene presenti gli errori compiuti dai governi di centro sinistra e, per essere ancora più chiari, le politiche veltroniane nei confronti della cultura (e non solo, ovviamente).

Mi riferisco alla trasformazione delle istituzioni culturali pubbliche in fondazioni di diritto privato per dare loro “efficienza, efficacia, economicità”, trasformazione che somiglia molto ad una privatizzazione e che consente – per esempio nel consiglio di amministrazione della Scala di Milano - la presenza di imprenditori, banchieri, commercianti e politici e di un solo “addetto ai lavori”: Stéphane Lissner in quanto direttore artistico. Mi riferisco all’eliminazione di qualunque rappresentanza delle forze culturali, sociali e produttive dalla gestione di quelli che un tempo erano “luoghi pubblici” della cultura, riducendo le nomine delle istituzioni ad un fatto "privato", in senso oggettivo e soggettivo, e di esclusiva competenza dei governi, cioè dei ministri di turno. I lavoratori di quei settori, i lavoratori della cultura, non hanno motivo di avere voce in capitolo.
Sono state così nei fatti azzerate le grandi riforme realizzate all’insegna della democratizzazione e della partecipazione nella metà degli anni settanta: Biennale di Venezia, Rai, Enti cinematografici di Stato.

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“Ho 60 anni, senza lavoro e vado in pensione a 65 anni con 560 euro mensili. Dalla fine degli anni 90 ad oggi ho registrato continuamente perdite nel mio lavoro di direttore di orchestra ed organizzatore di spettacoli musicali … Ogni anno ho continuato a lavorare sperando in una ripresa, invece ho registrato continue perdite… ora sono giunto alla situazione che non ho più nulla per vivere, neanche per andare al mercato per i viveri quotidiani.

…La mia casa è andata all'asta il 12.10.2008 ed è risultata deserta. Ci riandrà a breve. Il danaro che ricaverò da tale asta serve per la banca e per i pagamenti Iva che ho evaso da 4 anni utilizzandoli esclusivamente per vivere nel quotidiano…

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