120707torturadi Moni Ovadia
Il mio amico Luciano Rapotez, 93 anni, ex comandante partigiano nella zona di Muggia - oggi segretario dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, sezione di Udine – non cessa di ripetere questa frase: «I dolori della tortura non vanno in prescrizione». In breve, la vicenda che lo portò a subire la crudele esperienza della tortura: dieci anni dopo la fine della guerra di Liberazione, Rapotez fu arrestato sotto casa sua a Trieste con l’accusa di triplice omicidio. La città giuliana viveva in quegli anni una lacerazione da guerra civile perdurante ed era pervasa da un forte revanscismo fascista. L’accusa era stata costruita ad arte per incastrare degli ex partigiani. Per farlo confessare gli agenti di polizia e di custodia, ex fascisti, lo sottoposero a 306 ore di tortura, nella forma di ogni sorta di tormento che il sadismo del torturatore alambicca contro la sua vittima inerme: ripetute percosse, privazione continua del sonno, negazione dell’acqua, del cibo e della soddisfazione dei bisogni corporali per giorni e giorni. Rapotez fu rimesso in libertà dopo l’assoluzione in assise per interessamento dell’onorevole Aldo Moro che era rimasto sconvolto dal suo caso e in seguito assolto in ogni grado di giudizio. Nel frattempo però la sua famiglia si era distrutta, non trovò più lavoro e dovette emigrare in Germania dove si rifece una vita.

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120707artondi Damiano Mazzotti
“La rivoluzione che viene” è un’opera che riunisce sei saggi molto originali di David Graeber, uno dei protagonisti del movimento “Occupy Wall Street”.
La tesi principale dell’antropologo americano consiste nel ritenere i pensatori neoliberisti ossessionati dall’idea di dover garantire che “non c’è nessuna alternativa” al capitalismo finanziario. Però i trionfi ideologici neoliberisti portano a ripetute catastrofi economiche e al diffondersi del “capitalismo kamikaze”: “un sistema che non esiterà ad autodistruggersi se ciò sarà necessario per sconfiggere i propri nemici”. Per questo motivo Graeber insiste nell’evidenziare alcuni aspetti centrali della lotta di classe nella società statunitense: “la negazione del diritto di comportarsi bene, di essere nobili, di ricercare valori diversi dal denaro”.
In realtà i principali membri della casta del potere multinazionale hanno compreso che il sistema “basato su un’antica alleanza tra potere militare e potere finanziario, tipica dell’ultimo periodo degli imperi capitalisti” è ancora in piedi quasi per miracolo. Oramai non si preoccupano di salvare l’attuale sistema capitalista-debitalista che è destinato all’implosione più o meno lenta e violenta. La loro strategia principale è diventata quella di eliminare ogni alternativa possibile dalle menti dei cittadini, in modo da essere “gli unici a poter fornire delle soluzioni” al momento della crisi finale.

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1stangsatadi Paolo Ferrero
Vorrei fare due considerazioni sulla spending review.
In primo luogo Monti dice che non si tratta di una manovra di finanza pubblica, piuttosto di una ‘operazione strutturale’ che serve a recuperare gli oltre 4 miliardi necessari per evitare l’aumento dell’Iva a settembre. Viene da chiedersi perché Monti proponga ogni giorno questa distinzione. La ragione mi pare molto semplice: Monti aveva garantito in lungo e in largo che non sarebbe stato necessario fare una manovra di aggiustamento dei conti per ottenere i risultati voluti e invece non è vero.

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2Inflazione- spesa

Una famiglia su tre ha dovuto fare sacrifici in cucina nel 2011, diminuendo la spesa per beni alimentari. L’Istat rileva che l’anno scorso rispetto al 2010, il 35,8 per cento dei nuclei famigliari ha diminuito la quantità e/o la qualità dei prodotti alimentari acquistati. In particolare il 65,1 per cento di queste dichiara di aver ridotto solo la quantità, mentre nel 13,3 per cento dei casi diminuisce anche la qualità.

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1diaz

di Vittorio Agnoletto
Ora il presidente Napolitano deve chiedere scusa a nome di tutte le istituzioni alle vittime della Diaz, di Bolzaneto, a tutti i cittadini italiani; deve chiedere scusa per le violenze commesse da rappresentanti dello stato, per il vergognoso silenzio mantenuto per undici anni dalle istituzioni, per aver promosso coloro che erano stati condannati per fatti gravissimi.
Napolitano lo deve fare anche per il rispetto verso il pubblico ministero Enrico Zucca, verso quei cinque giudici che emettendo la sentenza hanno certamente «semplicemente» compiuto il loro dovere, ma un dovere reso difficilissimo dai ricatti di ogni genere che sono scattati in queste settimane.

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