Ancora una condanna per Eni, dopo la maxi multa di 5 milioni di euro dello scorso anno per “pratica commerciale ingannevole” in merito alla pubblicità “ENIdiesel+”, che spacciava per non impattante, bio, green e rinnovabile un diesel esattamente identico agli altri. La sentenza questa volta, arrivata ieri in tarda serata, condanna il colosso per traffico illecito di rifiuti nel centro Oli di Viggiano e dispone una confisca da 44,2 milioni. La vicenda del polo Oli di Viggiano era al centro del caso che portò alle dimissioni dell’allora ministra dello Sviluppo Federica Guidi e che vide coinvolto Roberto Cerreto, il renziano ora braccio destro di Cingolani al nuovo super ministero della transizione ecologica.

Un manager di Eni sarebbe stato scelto come referente del tavolo ambiente e energia e dei lavori preparatori dei diversi delegati ministeriali per il G20 Ambiente, clima e energia che si terrà a luglio a Napoli. Se confermato sarebbe l'ennesima vergogna, affidare a una big del gas fossile e del petrolio, con varie condanne per pratiche illecite, le trattative del tavolo ambiente ed energia del G20.

Eni è un’azienda con grossi interessi internazionali nell’ambito del mercato delle fossili e le cui attività hanno un impatto negativo sul clima del Pianeta e una delle aziende italiane con il più alto livello di emissioni di Co2 al mondo, nonché tra le realtà principalmente responsabili dell’emergenza climatica in corso: le sue emissioni globali sono maggiori di quelle dell’Italia. Nei suoi piani futuri non prevede affatto la svolta green che sbandiera con spot o interventi sui media, ma intende continuare a puntare sul gas fossile, una delle cause della crisi climatica.

Abbiamo sempre denunciato questo modo di agire, inquinante ed illecito, permesso dal totale silenzio dei governi se non addirittura con il loro sostegno. L'Italia ed il Pianeta hanno bisogno di una vera svolta green e non può essere affidata a chi è la causa stessa del problema.

Elena Mazzoni, Responsabile nazionale ambiente PRC-S.E.

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Alberto Deambrogio*

Con la scorsa festività dell’Epifania è arrivato un “dono” che molti ambientalisti, esponenti di movimenti e forze politiche da anni impegnati nelle lotte contro il nucleare aspettavano: la carta CNAPI. Dietro questo acronimo, che come tutti gli acronimi può risultare un poco misterioso, si cela uno strumento assai importante, una vera e propria mappa con la proposta dei luoghi “meno inidonei” per collocare il sito unico nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari. Per arrivare a quella mappa il cammino non è stato per niente facile, ci sono stati i lunghi silenzi della politica di solito abbinati a promesse di imminente pubblicazione; in realtà c’è voluta tutta la perseveranza e la cocciutaggine delle associazioni ambientaliste, con un “lavoro al corpo” costante, per ottenere infine il risultato dello scorso gennaio. Dopo il ributtante “metodo Scanzano” (ricordate la scelta scellerata e immotivata dell’allora Governo Berlusconi?) e dopo l’ennesima conferma referendaria allo stop per il nucleare (10 anni fa!) nel nostro Paese, in Piemonte in particolare, si sentiva come inspiegabile la mancanza di un percorso certo e verificabile per uscire dalla breve stagione dell’atomo, che però ha lasciato sui territori problemi ancora gravi e aperti.

La pubblicazione della carta CNAPI ha immediatamente scatenato reazioni da più parti, a dire il vero non sempre comprensibili e fondate. Se da una parte il modo ambientalista e più in generale tutti coloro i quali hanno lottato per porre termine all’esperienza nucleare hanno salutato abbastanza positivamente il documento basato su criteri verificabili, dall’altra si è da subito sollevata una ridda di contestazioni, solitamente portata avanti da politici e amministratori locali, tese a criticare le individuazioni contenute nella carta a partire da principi opinabili, aleatori, prettamente campanilistici. Chi ha scelto questo tipo di profilo non sempre in passato ha mostrato un grande trasporto ambientalista, ma forse ora quel che conta è l’incasso a breve di un facile consenso più che la fatica per imboccare finalmente la strada giusta per la risoluzione di un problema di prima grandezza. Ci sono state poi vette inarrivabili, come quella toccata dal Sindaco di Trino Vercellese, che pur non avendo il suo Comune ricompreso tra quelli possibili della carta (fortunatamente, vista l’estrema inidoneità!) ha proposto pubblicamente di avere tutte le scorie sul suo territorio, ottenendo così laute compensazioni.

Dall’ Epifania sono ormai trascorse alcune settimane, dopo i primi clamori, le prime valutazioni a caldo e le polemiche giornalistiche ora l’attenzione sulla carta CNAPI sembra essersi un poco affievolita. Eppure è proprio adesso che conta avere attenzione e partecipazione. Lo sa benissimo chi ha dato un primo giudizio generalmente positivo intorno al documento. Dopo l’allungamento dei termini per le osservazioni ottenuto nel recente decreto “milleproroghe”, inizia dunque la parte più importante e sicuramente non breve per tentare di portare a compimento il percorso verso il Sito unico nazionale. Diventa davvero dirimente il fatto che intorno ai criteri scelti si sviluppi trasparenza, consapevolezza, criticità. Questo tipo di operazione per essere efficace non può che richiedere un lavoro paziente e diffuso, un lavoro di massa insomma in grado di assicurare soluzioni non subite e, più in generale, una nuova attenzione ai temi energetico-ambientali.

Di questa nuova decisiva fase vogliamo parlare con Gian Piero Godio. La sua, nel campo antinucleare, è una storia esemplare per durata, coerenza, fondatezza scientifica, passione. Al di là dei vari ruoli assunti nel tempo in Legambiente, Godio è diventato un vero punto di riferimento a livello nazionale per tutte/i coloro i/le quali intendevano e intendono portare avanti le giuste battaglie contro il nucleare e i suoi esiti assai problematici da gestire.

Gian Piero, dopo le prime schermaglie polemiche dei giorni susseguenti alla pubblicazione della CNAPI, ora l’attenzione mediatica e politica sembra un po’ calata. In prima battuta vuoi ricordarci qual è stata la tua valutazione generale intorno a quel documento e ai principi che l’hanno ispirato?

Il nucleare non ha futuro, ma in Italia ha purtroppo un passato. Le quattro centrali nucleari italiane, tutte insieme, in tutta la loro attività trentennale, hanno prodotto 91 miliardi di kWh di energia elettrica, lasciando sul campo pericolosissime scorie radioattive di cui non sappiamo come liberarci. Al confronto, gli impianti fotovoltaici installati in Italia hanno prodotto 92 miliardi di kWh solo negli ultimi quattro anni, senza rischi di esplosione e senza radioattività.

Non è quindi certo più il caso di pensare al nucleare come fonte energetica sostenibile, ma purtroppo in Piemonte, a causa della passata stagione nucleare, quattro Comuni (Saluggia (VC) e Trino (VC), Bosco Marengo (AL) e Tortona (AL)) si trovano ad avere sul proprio territorio oltre l’ottanta percento dei materiali radioattivi di tutta Italia, in impianti e depositi collocati in aree a rischio. Inoltre a breve distanza si trova il sito nucleare del CCR Euratom di Ispra (VA). E in Emilia, Lazio, Campania e Basilicata la situazione è analoga.

E’ assurdo continuare a mantenere una simile quantità di materiali radioattivi in aree del tutto inidonee per la vicinanza ai fiumi, alle falde, alle zone abitate e a quelle agricole di qualità: è un atto di grave irresponsabilità che, ricordando la tragedia di Chernobyl del 26 aprile 1986, fa pensare che questi 34 anni siano passati invano.

Allora, dato che queste scorie radioattive non possono essere fatte sparire con la bacchetta magica, e che i siti attuali sono totalmente inidonei, dobbiamo esigere il trasferimento al più presto di tutti questi materiali pericolosi in un sito meno inidoneo, scelto con oggettività e trasparenza in modo che possa rappresentare la soluzione caratterizzata dal rischio più basso possibile.

La pubblicazione della CNAPI e l’avvio del processo per la sua revisione pubblica costruiscono il primo passo nella direzione che le associazioni ambientaliste hanno sempre richiesto, tant’è che l'avevano perentoriamente sollecitata il 25 novembre scorso scrivendo ai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico e diffidandoli a dare il nulla osta a Sogin (la società di stato che gestisce l'«eredità nucleare» italiana) per la pubblicazione entro la fine del 2020.

Se è vero che di nucleare si parla meno, non è affatto vero che il periodo che si apre ora sia meno importante ai fini della effettiva risoluzione dei problemi. Questi ultimi riguardano tutto il territorio nazionale, ma è pur vero che l’esperienza piemontese insegna quanto può essere rischioso collocare le scorie in luoghi non idonei. Puoi descriverci meglio quali sono i riferimenti normativi e tecnici di riferimento?

Certamente però la scelta del sito non deve essere lasciata ai vari “mercanteggiamenti” a cui in Italia siamo stati purtroppo abituati. In questo senso hanno destato preoccupazione alcune recenti uscite, quale quella del sindaco di Trino, il quale, lungi da qualunque riflessione di tipo oggettivo, si diceva disponibile ad ospitare il Deposito Nazionale nel territorio del proprio Comune, così da beneficiare delle relative compensazioni.

No, la scelta non deve essere fatta in base alle “convenienze”, e neppure in base alla necessità economiche o sociali di un Comune, ma sulla base di oggettivi e pubblici criteri di minore pericolosità.

A questo scopo ISPRA ha definito, già dal 2014, con la propria Guida Tecnica n. 29, in primo luogo i “Criteri di Esclusione” in base ai quali andranno escluse le aree del territorio nazionale le cui caratteristiche non permettono di garantire piena rispondenza ai requisiti minimi di sicurezza che il Deposito Nazionale dovrà avere.

In base a questi criteri, sono ufficialmente da escludere le seguenti aree:

1) vulcaniche attive o quiescenti;

2) contrassegnate da sismicità elevata;

3) interessate da fenomeni di fogliazione;

4) caratterizzate da rischio e/o pericolosità geomorfologica e/o idraulica di qualsiasi grado e le fasce fluviali;

5) contraddistinte dalla presenza di depositi alluvionali di età olocenica;

6) ubicate ad altitudine maggiore di 700 m s.l.m.;

7) caratterizzate da versanti con pendenza media maggiore del 10%;

8) sino alla distanza di 5 km dalla linea di costa attuale oppure ubicate a distanza maggiore ma ad altitudine minore di 20 m s.l.m.;

9) interessate dal processo morfogenetico carsico o con presenza di sprofondamenti catastrofici improvvisi (sinkholes);

10) caratterizzate da livelli piezometrici affioranti o che, comunque, possano interferire con le strutture di fondazione del deposito;

11) naturali protette identificate ai sensi della normativa vigente;

12) che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati;

13) che siano a distanza inferiore a 1 km da autostrade e strade extraurbane principali e da linee ferroviarie fondamentali e complementari;

14) caratterizzate dalla presenza nota di importanti risorse del sottosuolo;

15) caratterizzate dalla presenza di attività industriali a rischio di incidente rilevante, dighe e sbarramenti idraulici artificiali, aeroporti o poligoni di tiro militari operativi.

Avere finalmente dei criteri a disposizione non esaurisce affatto l’attività di controllo critico da parte di cittadini, organizzazioni, Enti locali. Puoi parlarci in modo particolare del lavoro importante che si dovrebbe fare intorno ad eventuali errori di applicazione dei criteri da parte di SOGIN e degli spazi di discrezionalità che quest’ultima può esercitare a partire dalle indicazioni di ISPRA?

E’ proprio l’esperienza vissuta nei decenni passati, e cioè quella di essere costretti a sopportare i rischi indebiti dovuti alla collocazione per nulla appropriata dei vari siti nucleari in tutta Italia, che ci porta a pretendere che il sito per il futuro Deposito Unico Nazionale venga scelto con oculatezza, oggettività e trasparenza, nel il pieno rispetto dei criteri di esclusione e di approfondimento, geografici e fisici prefissati dal D.Lgs. 31 del 15 febbraio 2010 e dalle Guide Tecniche 29 e 30 di Ispra, e validati a livello internazionale.

La proroga dei termini per l'invio delle osservazioni alla CNAPI è utile per approfondire l'analisi della documentazione pubblicata, ma non deve costituire un'ulteriore dilazione per arrivare prima possibile all'individuazione del sito e alla costruzione del Deposito.

Per questo, immediatamente dopo la pubblicazione della CNAPI, Legambiente e Pro Natura si sono messe a disposizione delle popolazioni e dei Comuni che si trovano nei pressi dei siti individuati da Sogin come “potenzialmente idonei”, per una rigorosa verifica della corretta applicazione dei criteri stessi.

Tale verifica ha portato alle seguenti prime osservazioni.

1) Sono stati individuati possibili errori nell'applicazione dei criteri di esclusione e di approfondimento contenuti nelle Guide Tecniche 29 e 30 di ISPRA, che possono essere dovuti a:

valutazioni errate (ad esempio: in CE10 valutazione errata della soggiacenza o della vulnerabilità della falda acquifera, CE03 in presenza di faglie o pieghe con relativi assi di sinclinale, ecc);

valutazioni non aggiornate (ad esempio: CE04 pericolosità idraulica con mancata considerazione di alluvionamenti recenti);

2) E’ stata individuata una discutibile discrezionalità utilizzata da Sogin nell'applicazione dei criteri di esclusione che le Guide Tecniche 29 e 30 di ISPRA prevedono con modalità non completamente definite:

CE03 Mancata esclusione delle aree attraversate da assi di sinclinale;

CE04 Mancata esclusione di aree colpite da fenomeni alluvionali recenti;

CE10 Mancata esclusione delle aree caratterizzate da una soggiacenza della falda inferiore alla massima profondità del Deposito;

CE12 Mancata considerazione della fascia di rispetto urbanistica da prevedersi intorno al Deposito e da considerare per la valutazione delle distanze minime dai centri abitati;

CE13 Esclusione non motivata di aree a distanza inferiore a 1 km da viabilità diversa da “autostrade e strade extraurbane principali”;

CE14 Mancata esclusione di aree caratterizzate dalla presenza di importanti bacini acquiferi sotterranei accompagnata da una significativa vulnerabilità della falda superficiale e dalla presenza di pozzi comunicanti;

ESCLUSIONI A LIVELLO REGIONALE E LOCALE: non risultano evidenziati i criteri seguiti.

Alcuni altri interrogativi rimangono ancora senza risposta, ma proprio per questo vanno riposti costantemente. Da una parte c’è tutta la partita dei nostri “rifiuti all’estero”, dall’altra, rimanendo a casa nostra, ci sono i dubbi di tipo urbanistico intorno all’eventuale Sito unico nazionale, nonché le priorità da stabilire per l’eventuale trasferimento nel medesimo dei materiali radioattivi. Ce ne vuoi parlare?

Effettivamente il 99% della radioattività prodotta dalle quattro centrali nucleari italiane è stato trasferito all'estero per il riprocessamento, ma i rifiuti ad alta radioattività risultanti da questo trattamento dovranno presto rientrare in Italia.

Per quelli rimasti in Italia sarà bene prevedere già fin da ora quali saranno i materiali radioattivi che dovranno essere trasferiti prima di altri al deposito nazionale una volta che sarà realizzato: noi proponiamo che si trasferiscano prima i rifiuti che si trovano in una situazione di maggiore rischio.

Di seguito la previsione presentata da Sogin nella audizione al Senato del 20 dicembre 2018.

Torniamo un attimo in Piemonte. Non è per campanilismo, poiché tutti sanno che scelte sbagliate fatte e mantenute per anni regalano questa regione un triste primato: quello dei siti temporanei sempre in procinto di diventare definitivi. Oggi si dovrebbe lavorare per scongiurare questa ipotesi, ma nel frattempo quale è lo “stato di salute” dei siti nucleari piemontesi?

E' ormai da più di trent'anni che il sito nucleare di Saluggia fa da Deposito nazionale essendo costretto ad ospitare la maggiore quantità di radioattività senza averne il minimo requisito. E non è che il fatto che sia ufficialmente un deposito provvisorio ne diminuisca la pericolosità. Se accettiamo questa provvisorietà accettiamo che si consolidi la presenza dei materiali radioattivi in un luogo assolutamente a rischio. In caso di un malaugurato guasto, incidente, evento naturale distruttivo, atto terroristico o bellico quello che fa la vera differenza è la collocazione in un'area più o meno a rischio.

La situazione in termini di radioattività oggi è riportata nella seguente tabella, tratta dal “Programma Nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi” pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'11 dicembre 2019, dove la radioattività è espressa in GBq (miliardi di Becquerel)

(1) VSLW: rifiuti radioattivi a vita media molto breve

(2) VLLW: rifiuti radioattivi di attività molto bassa

(3) LLW: rifiuti radioattivi di bassa attività

(4) ILW: rifiuti radioattivi di media attività

(5) HLW: rifiuti radioattivi di alta attività

Un’ultima domanda. Quali sono secondo te i principali ulteriori problemi, non necessariamente di tipo tecnico procedurale, che intravvedi sulla strada difficile dell’individuazione corretta del Sito unico nazionale?

Affinchè l'individuazione possa essere il più appropriata possibile occorre in questa fase pretendere di discutere anche di come Sogin ha deciso di applicare alcuni ulteriori criteri di dettaglio.

Infatti, l’art. 27 del D.Lgs. 31 del 15 febbraio 2010 prevede che la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee sia accompagnata da un “ordine di idoneità delle aree identificate sulla base delle caratteristiche tecniche e socio-ambientali”.

Noi riteniamo che Sogin abbia utilizzato una discutibile discrezionalità nella definizione e applicazione dei criteri per stabilire tale “ordine di idoneità” in base ai quali classificare i siti potenzialmente idonei.

In particolare osserviamo che per stabilire l’ordine di idoneità tra le varie aree potenzialmente idonee è necessario assegnare ai vari criteri un “peso” diverso, proporzionale alla sua importanza, per evitare rischi e proteggere l’ambiente.

Ad esempio, a parità di requisiti di sicurezza che debbono essere garantiti dal rigoroso rispetto dei criteri di esclusione e di approfondimento, riteniamo che il criterio di preferire quelle aree potenzialmente idonee che comportano la minimizzazione dei trasporti nucleari che saranno necessari per trasferire i materiali radioattivi dai siti attuali al deposito nazionale debba avere un peso molto superiore al pur giusto criterio di preferire quelle aree potenzialmente idonee che sono ad una minore distanza rispetto ad una linea ferroviaria esistente.

Infatti i volumi di materiali radioattivi da trasportare al futuro deposito nazionale sono così distribuiti:

*http://www.lavoroesalute.org/

Rifondazione Comunista condivide i contenuti della lettera aperta che 200 associazioni nazionali e locali hanno inviato oggi a Governo, Parlamento e Commissione Europea su gasdotti, centrali, trivelle, grandi opere e Valutazione di Impatto Ambientale.
La transizione ecologica rimarrà uno slogan truffaldino finché le più elementari procedure di valutazione di impatto ambientale saranno considerate un ostacolo alle imprese da rimuovere o aggirare.
Con la scusa della semplificazione da anni si giustifica il via libera superficiale a operazioni devastanti. Purtroppo la subalternità della politica a Confindustria non ci ha consentito neanche di realmente adeguarci a paesi europei che certo non sono secondi a noi in termini industriali o infrastrutturali.
Persino l'"inchiesta pubblica" - prevista a livello europeo dal 1986 - è stata esclusa dal Ministero dell'Ambiente, mentre si è detto sì a progetti palesemente frutto di copia/incolla.
Il rigore lo si invoca sui conti pubblici, mai sulle procedure di valutazione dei progetti delle grandi imprese.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Elena Mazzoni. responsabile ambiente
Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

in allegato lettera di 200 comitati e associazioni

coronavirus-ecologia

Questo è quanto accaduto il 22 febbraio a Camogli, perla del Golfo Paradiso nel Levante ligure, l’esatta fotografia di quanto avviene quando l'incuria del territorio diventa regola e la cura una superficiale routine, come denunciamo da anni come Rifondazione Comunista.

La Liguria è un territorio estremamente fragile che necessita di interventi straordinari finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e dei suoi parchi naturali e di ragionare su lungo termine e non per singole emergenze.

La giunta regionale ligure si muove in tutt'altra direzione, ricordiamo che sotto la legislatura del presidente Giovanni Toti é stata promulgata la legge di "riordino delle aree protette", che ha tolto ettari ai parchi naturali e ha in buona parte eliminato le aree cuscinetto, al punto che è dovuto intervenire il ministero dell'ambiente per bloccare tale scempio.

Così come il tentativo dello smantellamento del Parco naturale Monte Marcello-Magra-Vara, un territorio molto delicato sia dal punto di vista ambientale che faunistico. Infine, in spregio alle più elementari norme di tutela e di sicurezza del territorio, alla fine di dicembre 2020 un nuovo tentativo, attraverso la legge di bilancio ligure, di modifica dei confini delle aree protette.

Per evitare quanto successo a Camogli e nelle altre località liguri che giornalmente sono soggette a frane e smottamenti con il conseguente disagio per gli abitanti di quelle zone e di quelle limitrofe, pensiamo sia estremamente urgente intervenire massicciamente ad una completa messa in sicurezza del territorio e non più dei semplici ritocchi di facciata. Negli ultimi 70 anni in Italia si sono registrate oltre 10.000 vittime per fenomeni idrogeologici e sismici, con danni economici per circa 290 miliardi di euro.

Il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale, che è del 2019, prevede risorse per soli 315 milioni di euro destinati a 263 progetti esecutivi “tutti caratterizzati da urgenza e indifferibilità, mentre vanno finanziati progetti integrati di riduzione del rischio idrogeologico e volti alla rinaturalizzazione e al ripristino degli ecosistemi per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, smettendo di sprecare soldi pubblici.

Negli ultimi decenni il dissesto ci è costato l’equivalente di oltre 50 miliardi e l’Italia è meno sicura di prima. Servono politiche di ampio raggio, che intervengano su tutto il ciclo del rischio, rilanciando la pianificazione di bacino per contrastare il rischio idrogeologico e in particolare le alluvioni, come previsto dalla Direttiva 2007/60/CE, uscendo dalla logica emergenziale che caratterizza ancora le politiche in questo campo.

Elena Mazzoni, responsabile ambiente Rifondazione
Mario Pistillo, segretario federazione del Tigullio Golfo Paradiso

"Un anno e poi vado, voglio lasciare a chi verrà una macchina capace di gestire soldi", questa è l'idea della transizione ecologica che ha il neo ministro Cingolani, e per metterla in pratica al meglio si circonda dello staff "idoneo".
Roberto Cerreto, il renziano che riscrisse l'emendamento sui giacimenti di Tempa Rossa, il discusso giacimento petrolifero della Total Oil oggetto di varie vicende giudiziarie, chiesto dalle compagnie petrolifere per aggirare le resistenze della Regione Puglia e centro del caso che portò alle dimissioni dell'allora ministra dello Sviluppo Federica Guidi, capo del gabinetto.
Il vice di Cingolani invece sarà l’avvocato Marco Ravazzolo, responsabile Ambiente di Confindustria.

Insomma, l'ambiente in mano a chi lo devasta mentre la transizione ecologica ci pone di fronte alla necessità di ripensare le politiche industriali, economiche e fiscali, l’energia, la salute pubblica, la gestione delle città, l’agricoltura, i trasporti, la gestione e la tutela del territorio, la ricerca scientifica, la difesa e la valorizzazione della risorsa idrica e perfino la politica estera.
Invece Draghi chiama a gestire la transizione chi ha negato, minimizzato o causato, l'entità e l'impatto della crisi che oggi siamo chiamati ad affrontare.

Elena Mazzoni, responsabile Ambiente Rifondazione

ambiente21

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