Insieme ad Emiliano Limiti, nominato pochi giorni fa numero due della municipalizzata romana della monnezza, l'AMA. Lo stesso Limiti che, nel 2013, si incontrava in un bar romano con l'ex militante di estrema destra Stefano Andrini, condannato per lesioni a militanti di sinistra in un pestaggio e Luca Gramazio, all'epoca capogruppo di Forza Italia in regione e poi condannato a 5 anni e sei mesi come interno all'associazione a delinquere guidata da Buzzi e Carminati.

Lo rivela Nello Trocchia, in un'inchiesta giornalistica che troverete in edicola su "Domani" il 2 dicembre.

Nulla da dire, un bel biglietto da visita per Gualtieri che ricicla i soliti noti invece dei rifiuti.

Elena Mazzoni, responsabile ambiente nazionale di Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

Rifondazione Comunista plaude al blitz di Greenpeace di stamattina al porto di Ravenna. Gli attivisti e le attiviste che hanno scritto “Contiene Foreste” sugli enormi silos di soia importata di Bunge Italia SPA hanno scritto la verità. Non c'è modo più chiaro di dirlo. La soia di importazione contiene foreste, i mangimi per l'allevamento contengono foreste, la carne contiene foreste tropicali che vengono distrutte per alimentare l'agrobusiness globale. Ogni due secondi, nel mondo, un’area di foresta grande come un campo da calcio viene rasa al suolo per far posto alla produzione di mangimi per grandi allevamenti intensivi.
In Amazzonia, polmone verde del pianeta, è salita del 22% la deforestazione per gli allevamenti e per la soia da esportare. La responsabilità di Bolsonaro ma anche paesi dell'Unione Europea sono corresponsabili. Per questo ci opponiamo all'accordo di libero commercio UE-MERCOSUR che rafforzerebbe questa devastazione imperdonabile. Inaccettabili gli insostenibili incentivi UE e degli Stati Nazionali agli allevamenti intensivi. Bisogna favorire politiche di riconversione degli allevamenti intensivi sempre più insostenibili a partire da misure concrete.

Gli incendi devastanti dell'Amazzonia fanno parte di una strategia economica pianificata che ha il suo terminale nell’industria della carne, anche nel nostro Paese che importa dal Basile il 40 percento della soia ovviamente geneticamente modificata per gli allevamenti intensivi. Tra il gennaio e il luglio 2019, secondo le statistiche ufficiali, abbiamo importato più di 130 milioni di dollari di prodotto non lavorato (tra semi e macinato) dal Paese sudamericano.
Per questo sosteniamo il Plant Based Treaty.
La soia per mangimi causa la deforestazione e quindi favorisce cambiamenti climatici e distrugge biodiversità.

Le politiche comunitarie e gli stati nazionali dovrebbero recepire richieste degli ambientalisti invece di assecondare logiche distruttive del capitalismo globale.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Elena Mazzoni, responsabile ambiente di Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

Il 7 dicembre 2020, tramite un contratto finanziario derivato, l’acqua è stata quotata in borsa, un passaggio epocale che ha sancito la finanziarizzazione di un bene essenziale e drammaticamente scarso, assoggettandone la disponibilità alla logica di mercato e di profitto.

Scarsità per taluni, è ricchezza per altri, secondo il dogma liberista e quindi la finanza è prontamente intervenuta allo scopo di “governare” la penuria idrica e l‘acqua, da tempo ridotta a merce, ora è trattata come un avere finanziario su cui speculare.

In occasione dell’anniversario di questa triste data, una grande mobilitazione globale, da Bruxelles a Milano, passando per Roma, Rio de Janeiro, Rosario, in Argentina, la Patagonia cilena, Parigi, il Canada, si batterà per la liberazione dell’acqua dalla Borsa.

Il Partito della Rifondazione Comunista è sostenitore della campagna internazionale “Liberiamo l’acqua dalla Borsa” e parte attiva della mobilitazione.

In allegato a questa comunicazione troverete il documento nazionale “Liberiamo l’acqua dalla Borsa”, che verrà pubblicato anche sul sito una volta che verranno confermate tutte le sottoscrizioni di realtà nazionali, le informazioni sulle mobilitazioni di Roma e Milano e l’immagine della “Spoliazione”, statua di 6 mt., simbolo della campagna internazionale, che verrà inaugurata il 7 dicembre in Place de Brouckère a Bruxelles e la nostra grafica. A ridosso del 9-12-2021 seguirà volantino per social.

A Milano, il 9 dicembre alle ore 10.30, in piazza Affari, verrà circondata la Borsa di secchi d’acqua, durante un sit-in pensato per informare i cittadini e denunciare l’operato del mondo economico e finanziario contrario ai diritti dei cittadini e della natura.

A Roma, il 9 dicembre alle 11:00, in piazza Montecitorio, unitamente ad una perfomance organizzata da Animal Save, verrà simbolicamente consegnata, ai presidenti della Camera e del Senato, una lettera pubblica di denuncia dell’inaccettabile silenzio e della mancata difesa, da parte delle istituzioni, del bene comune vitale che è l’acqua, e del diritto alla vita di tutti gli abitanti e gli esseri viventi della Terra.
Parallelamente è stata lanciata una petizione, in collaborazione con Change Italia, e rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri, della Camera e del Senato, che vi invitiamo a far circolare massicciamente Sign the Petition.

Fraterni saluti

Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC-SE
Elena Mazzoni, responsabile Ambiente PRC-SE

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Care e cari,

nella legge di bilancio predisposta dal Governo Draghi, che fra qualche giorno arriverà all'esame del Parlamento, è previsto come collegato anche il DDL concorrenza che, in particolare all'art 6, sferra un attacco definitivo ai servizi pubblici locali, acqua compresa, e quindi un attacco mortale alla stessa autonomia dei Comuni.

Riteniamo, pertanto, fondamentale ed urgente una battaglia almeno per lo stralcio dell'art. 6 dal Disegno di legge sulla concorrenza. Tra le iniziative da portare avanti proponiamo la presentazione di Ordini del Giorno in tutti i Consigli Comunali.

Alleghiamo, quindi a questa circolare l'ordine del giorno preparato da ATTAC molto chiaro, breve e netto ed anche l'ODG preparato dal coordinamento della Rete delle Città in Comune, più analitico e da utilizzare, in ogni caso, come fonte di documentazione giuridico/amministrativa.

Vi chiediamo, pertanto, di lavorare all'immediata presentazione dell'ODG di Attac nei comuni e di monitorare la presentazione e l'eventuale approvazione dandoci immediatamente notizia, scrivendo alla mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. o telefonando al numero 3346603135.

È bene organizzare conferenze stampa sul tema. Nei comuni dove non abbiamo consiglieri occorre rivolgersi pubblicamente ai consigli chiedendo che assumano l'iniziativa.

Affettuosi saluti comunisti

Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC-SE
Elena Mazzoni, responsabile Ambiente PRC-SE
Raffaele Tecce, responsabile Enti Locali PRC-SE

La COP26 è la ventiseiesima conferenza internazionale che segue la scia degli Accordi di Rio del’92, accordi che confluiscono nella creazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in inglese United Nations Framework Convention on Climate Change da cui l'acronimo UNFCCC o FCCC), ovvero un trattato ambientale internazionale.
Il nome COP (Conferenza delle Parti) fa riferimento al fatto che possono prendervi parte, indipendentemente, anche singoli comparti degli Stati (es. città, province, regioni).
Il trattato, come stipulato originariamente, non poneva limiti obbligatori per le emissioni di gas serra alle singole nazioni, quindi era legalmente non vincolante. Esso però includeva la possibilità che le parti firmatarie adottassero, in apposite conferenze, atti ulteriori, detti "protocolli", che avrebbero posto i limiti obbligatori di emissioni. Il principale di questi, adottato nel 1997, è il protocollo di Ky?to.
Le Conferenze delle Parti nascono per valutare il progresso da parte dei singoli Paesi nel trattare la questione dei cambiamenti climatici, in modo da poter avere nel corso degli anni un quadro completo sulle misure effettivamente messe in campo per contrastare la crisi climatica. Dal 2016, la conferenza accoglie anche gli incontri delle parti con riferimento all'Accordo di Parigi, che ha l’obiettivo di i contenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2 °C oltre i livelli pre-industriali, e di limitare tale incremento a 1,5 °C, poiché questo ridurrebbe sostanzialmente i rischi e gli
Fallimentare totalmente la COP-25, che si è svolta a Madrid dal 2 al 13 dicembre 2019, durante la quale gli Stati avrebbero dovuto concordare le regole di funzionamento dell’Accordo di Parigi del 2015, pensato per essere pienamente operativo a partire dal 2020.
La Conferenza si era arenata su alcuni temi “caldi” che saranno argomento di discussione, tra altri, anche in questa COP:
l’articolo 6 dell’accordo di Parigi sull’utilizzo dei mercati di carbonio, fortemente contestati dalle organizzazioni della società civile.
il meccanismo di compensazione del “loss & damage”, ovvero “perdite e danni climatici”, che richiama da un lato il concetto di “danno ambientale” e, dall’altro, l’espressione “losses” che indica “perdite assicurate”.
I crescenti costi, umani ed economici, derivanti dal cambiamento climatico, furono discussi dall’ ONU per la prima volta nel 1991, ed entrarono a pieno titolo nell'agenda delle Nazioni Unite durante la COP di #Cancun nel 2010, per poi essere formalizzati come “loss & damage” due anni dopo a #Doha. A Doha venne approvato un documento che impegna le parti a sviluppare un meccanismo per affrontare i danni derivanti dal cambiamento climatico. Il testo di Doha rimane generico, parlando di gestione integrata dei rischi e coordinazione e sinergie tra vari organismi, rinviando alla COP di Varsavia la definizione di accordi specifici sul tema. L’ipotetico meccanismo di compensazione si baserebbe su aiuti, sia finanziari che in termini di sviluppo delle competenze, da parte dei paesi industrializzati a favore dei paesi meno sviluppati e più vulnerabili agli estremi climatici: “finance, technology and capacity-building, for relevant actions, nella versione originale inglese”.
Il tema presenta numerosi interrogativi. Primo fra tutti, il rischio di aggiungere una dimensione di responsabilità legale ai danni legati al clima. Questa dimensione sarebbe particolarmente preoccupante a causa della difficoltà nell’attribuzione di un evento specifico al cambiamento climatico. Una difficoltá addizionale deriva dalle dinamiche climatiche a lungo termine, per esempio l’innalzamento del livello del mare, che saranno molto piú difficili da quantificare e gestire rispetto ai singoli eventi estremi. Ovviamente, i paesi che si prospetterebbero riceventi dell'aiuto si stanno schierando a favore del loss and damage, mentre i paesi industrializzati sono molto cauti sul tema, se non apertamente contrari.
il Green Climate Fund, istituito nel 2010 durante la 16° Conferenza sul clima, come meccanismo finanziario con il compito di sostenere i Paesi in Via di Sviluppo nelle politiche di contenimento delle emissioni di gas serra.
le tempistiche di aggiornamento degli NDC, i contributi nazionali al raggiungimento degli obiettivi target dell’Accordo di Parigi di contenimento dei cambiamenti climatici, attualmente largamente insufficienti rispetto alle raccomandazioni della comunità scientifica e in particolare dell’IPCC.
I funzionari dei quasi 200 paesi non sono riusciti a superare i loro diversi punti di vista su questi punti chiave.
Altri elementi di dibattito sono stati il riferimento al Gender Action Plan, completamente sparito dalla decisione finale e l’accettazione del Rapporto Speciale dell'IPCC sugli impatti dei cambiamenti climatici sui Territori, che alcuni Paesi, Brasile in testa, vorrebbero fosse affrontato in separata sede, insieme al tema molto dibattuto sulla deforestazione e riforestazione dell’Amazzonia.
Ricordiamo che gli Stati Uniti sono usciti dall'accordo di Parigi a novembre del 2020, ma non sono gli unici con la “maglia nera”, anche India, Cina, Australia e Brasile, si stanno mettendo di traverso di fronte a tutte le richieste di sostenibilità.
Il fallimento della COP 25 parla chiaro: il profitto non vuole piegarsi al verdetto senza appello della scienza e ancor meno alle mobilitazioni sul clima che hanno portato in piazza milioni di persone nel mondo, che chiedono di evitare la catastrofe climatica e trasformare radicalmente l'economia.
Quindi la Cop 26 si apre nell'anno più nero per l'emergenza climatica, tra disastri annunciati, allarmi della scienza e ritardi della governance.
A sei anni dall'Accordo di Parigi e a due anni dall'ultimo summit di Madrid, non c'è davvero più tempo da perdere. Glasgow sarà il momento decisivo per definire se c'è la volontà politica di costruire un'azione globale di contrasto all'emergenza climatica.

Quello che volge al termine è stato a livello globale uno degli anni più drammatici per la gravità e la capillarità degli impatti del clima che cambia: dall'uragano che si è abbattuto di recente sulla Sicilia, ai i roghi inarrestabili che hanno interessato l'area mediterranea durante l'estate fino alle inondazioni in Germania e gli impatti della crisi climatica sono già realtà anche in Italia.
Per rispettare l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C serve fermare immediatamente tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili e:
impegnarsi a dimezzare le emissioni globali entro il 2030;
fermare l’apertura di un mercato globale delle compensazioni di carbonio e favorire una cooperazione internazionale trasformativa;
stanziare un fondo, finanziato dai Paesi ad alto reddito, per consentire ai Paesi a basso reddito di mitigare gli impatti della crisi climatica, sviluppare sistemi di energia rinnovabile per abbandonare i combustibili fossili e compensare i danni già causati dagli impatti climatici nei Paesi più vulnerabili;
fermare la deforestazione predatoria dell’Amazzonia, accelerata dalle politiche fasciste di Bolsonaro;
ridurre l’inquinamento da fonti umane che deriva per il 25% dalla produzione di elettricità e calore, dalla combustione di carbone, gas naturali o petrolio, per il 24% dall’agricoltura, allevamento e deforestazione; per il 14% dai trasporti; per il 6% dal consumo di combustibili fossili per uso residenziale o commerciale e per 10% da altre attività come raffinazione del petrolio, estrazione dei combustibili fossili e il loro trasporto.
Giustizia climatica è giustizia sociale.

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