Paolo Ferrero
Sul Manifesto del 28 dicembre è apparso un articolo che attribuisce a Rifondazione Comunista la volontà di chiudere Liberazione. Si tratta del contrario del vero. Chi vuole chiudere Liberazione è il governo, con il taglio dei fondi. Rifondazione Comunista non ha solo la volontà ma anche l’interesse politico a tenere aperta Liberazione. Vediamo nel merito. In primo luogo Rifondazione Comunista in questi anni ha fatto tutto il possibile per tenere aperta Liberazione e a tal fine ha speso una gran parte delle sue scarse risorse: nel 2008, anno in cui fui eletto segretario e ultimo anno della direzione Sansonetti, la perdita di Liberazione fu di oltre 3 milioni e centomila euro. Grazie ad un piano di riorganizzazione in cui tutti hanno fatto il possibile – partito, direzione, lavoratori e lavoratrici - nel 2009, primo anno della direzione di Dino Greco, la perdita scese a 1,6 milioni di euro. Nel 2010, la perdita sarebbe stata di 300.000 euro ma il taglio operato da Berlusconi e Monti ci aggiunge altri 500.000 euro di perdita. Per il 2011, a fronte di un bilancio che sarebbe andato in pareggio, il taglio del finanziamento pubblico deciso dal governo produce un mancato introito e quindi una perdita di 2 milioni di euro. Se in questi giorni stiamo discutendo del futuro di Liberazione è a causa di questi tagli, altrimenti saremo andati avanti tranquillamente avendo finalmente raggiunto il pareggio di bilancio! In questi anni Rifondazione Comunista – che non ha rappresentanze parlamentari a nessun livello – si è sobbarcata per tenere in vita Liberazione un costo di 5 milioni di euro. Il taglio definito dal governo in questi giorni produce un buco di altri 2 milioni e mezzo di euro. Ci troviamo quindi di fronte ad un giornale che grazie ai risparmi aveva sostanzialmente raggiunto il pareggio e che in virtù dei tagli del governo viene messo fuori mercato. In questa situazione abbiamo deciso la sospensione dell’uscita di Liberazione a far data dal primo gennaio e di proseguire provvisoriamente solo con l’edizione on line. Ogni giorno di uscita del giornale cartaceo avrebbe voluto dire 8.000 euro di perdita ulteriore. Questo soldi Rifondazione Comunista non li ha e quindi non li può spendere. Nella sostanziale assenza di finanziamento pubblico e nella totale indisponibilità del sistema bancario a concedere prestiti, Rifondazione semplicemente non può spendere i soldi che non ha. Riguardo all’accusa di difendere solo gli iscritti a rifondazione e non i lavoratori in generale, segnalo che i dipendenti di Rifondazione Comunista a livello nazionale sono passati da 160 del 2008 a poche decine, quasi tutti in cassa integrazione. Per utilizzare al meglio il periodo di sospensione delle pubblicazioni abbiamo lanciato una sottoscrizione al fine di raccogliere risorse finalizzate alla prosecuzione dell’attività di Liberazione nelle forme che saranno possibili in virtù delle risorse disponibili. In secondo luogo proseguiamo la battaglia contro il governo per ottenere i reintegro del fondo per l’editoria e per ottenere una parola chiara relativamente alle risorse disponibili per il 2012. Solo dopo aver ricevuto risposte chiare dal governo potremo decidere il futuro di Liberazione. Da quanto esposto a me pare evidente che Rifondazione Comunista vuole tenere aperta Liberazione mentre i tagli del governo la stanno portando alla chiusura e alla perdita dei posti di lavoro. Segnalo a tutti, a partire dai compagni e dalle compagne del Manifesto, che sarebbe il caso di fare una battaglia comune contro il governo, per ottenere il ripristino dei fondi, invece che prendersela con Rifondazione che, semplicemente, più di così non può fare.

111228liberazionePaolo Ferrero
Il governo Monti, in continuità con il governo Berlusconi, non sta solo attaccando le conquiste sociali, ma anche le conquiste democratiche. La conferma da parte di Monti del taglio - attuato da Tremonti - del fondo sull'editoria, fa parte di questo attacco e ci costringe a sospendere le pubblicazioni di Liberazione a partire dal 1° gennaio. Le cifre parlano da sole: nel 2010 il taglio del contributo è di circa 500.000 euro, nel 2011 - sapremo a fine 2012 la cifra esatta, perché il contributo viene erogato con un anno di ritardo - è di circa 2 milioni di Euro. Tagli enormi, insostenibili per un giornale come il nostro, che iniziò ad uscire 20 anni fa come settimanale. Questi provvedimenti non colpiscono solo Liberazione, ma anche un centinaio di altre testate che rischiano di chiudere, con la perdita di migliaia di posti di lavoro e una forte riduzione della democrazia nel paese. Basti pensare che oltre a Liberazione rischiano la chiusura il Manifesto e l'Unità. Il Presidente Mao diceva che uccidono più le pallottole di zucchero che quelle di piombo. Qui ci troviamo di fronte ad un sistematico perseguimento della distruzione della sinistra comunista che avviene attraverso misure burocratiche, non attraverso la repressione. Prima l'introduzione delle leggi elettorali maggioritarie, poi l'innalzamento dello sbarramento elettorale per le europee al 4%, oggi il taglio del fondo sull'editoria. Più la crisi avanza e il capitalismo evidenzia il suo fallimento e più provano ad ucciderci.

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Domenico Moro dal Manifesto del 28 dicembre 2011
Delocalizzazioni, acquisizioni, joint venture. Gli investimenti delle imprese all'estero sono alla base della riduzione dello sviluppo negli ultimi 10 anni. Con la complicità della politica Banche, speculazione finanziaria e sistema euro non sono le cause della crisi.

La questione del debito pubblico è presentata, in Italia e in Europa, essenzialmente come una questione di disciplina di bilancio, da risolvere tagliando le spese e aumentando le imposte. In realtà, la crescita del debito pubblico e la difficoltà a rifinanziarlo è connessa molto di più alla scarsa crescita economica. Debito e deficit pubblici vengono calcolati in percentuale sul Pil. Dunque, una stagnazione o un decremento di quest'ultimo possono peggiorare i due indicatori, indipendentemente dalle spese.

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111228vladimiro_giaccheVladimiro Giacchè
Se le cose in Europa non cambiano, e velocemente, l'euro rischia grosso. «Per quanto grandi siano i costi di una rottura dell'unione monetaria, se la moneta unica finisce per significare rendimenti dei titoli di Stato fuori controllo, deflazione salariale e recessioni economiche prolungate, prima o poi il problema si porra". Riportiamo ampi stralci dell'intervista di Vladimiro giacchè responsabile Affari Generali della Sator di Matteo Arpe, che, precisando di parlare a titolo personale, ha rilasciato ad Adnkronos sulla situazione in cui versa la moneta unica e sulla crisi. Dopo il 'patto fiscale concordato da 26 Paesi dell'Ue nel corso del vertice di inizio dicembre. Normalista, studi universitari condotti tra Pisa e Bochum e poi incarichi di alto livello nel Mediocredito Centrale e nel gruppo Capitalia, Giacchè è autore di numerosi volumi. «E prima o poi - dice - qualcuno potrebbe essere tentato di anticipare i tempi e far saltare il banco, per non arrivare privo di risorse alla meta». «Credo che tutte queste cose dovrebbero essere attentamente considerate da chi gestisce le cose in Europa. Anche perchè dovrebbe essere evidente che la sfiducia degli investitori riguarda ormai in primo luogo la capacità dell'establishment europeo di gestire con efficacia la situazione». ?I rischi per la moneta unica sono tali che la possibilità di una sua sparizione non sono avanzati solo dagli esperti e dai giornali, ma sono ormai inseriti nei prospetti informativi destinati agli investitori, come, ad esempio, quello pubblicato da Unicredit nei giorni scorsi.

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111227boccaIl giorno di Natale è morto Giorgio Bocca. Nell'esprimere il cordoglio ai suoi famigliari e ai suoi amici, mi ha colpito particolarmente la varietà delle reazioni che questa morte ha suscitato a sinistra. Dall'elogio al disprezzo. La mia opinione è che questa estremizzazione delle reazioni è indice del nsotro principale problema culturale, prima ancora che politico: la costruzione di una cultura della sinsitra di alternativa che nell'individuazione degli avversari sappia operare le distinzioni. Mi pare infatti evidente che Bocca fosse un nostro avversario politico ma questo non ci ha impedito di fare con Bocca battaglie politiche importanti contro Berlusconi e il berlusconismo. Al di la degli aspetti più evidenti - penso alle affermazioni razziste di Bocca - il nostro problema è smetterla di essere tifosi o detrattori della cultura liberale egemone nel centro sinistra. Dobbiamo costruire una cultura autonoma da quella liberale - ed in larga parte liberista - e proprio a partire da questa autonomia essere in grado di costruire la nostra prospettiva politica e culturale operando dei distinguo: Bocca e Veneziani non sono la stessa cosa. Ovviamente faccio queste affermazioni non ritenendo corretto inchiodare Bocca alla sua adesione giovanile al fascismo: a 22 anni stava tra i fascisti, a 24 tra i partigiani. Noi individuiamo le nostre madri e i nostri padri politici in chi si oppose al fascismo da subito ma, sul piano morale, io tengo fermo un criterio: non giudicare troppo severamente chi ha operato in contesti che fortunatamente ci sono stati risparmiati.

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