di Loris Campetti

La foto di gruppo davanti al Palazzaccio sembra una foto d'epoca. In prima fila tutti i pezzi del puzzle che disegnava il governo Prodi: Di Pietro, Vendola, Ferrero, Diliberto, Bonelli. Manca solo Prodi con il suo partito. In seconda fila, però, nell'istantanea ci sono la Fiom con il volto di Francesca Re David, Alba con Alberto Lucarelli, due giuslavoristi del rango di Romagnoli e Alleva. Appena più defilati troviamo un pezzetto della maggioranza Cgil con la presenza di Gianpaolo Patta e infine il motore di un'operazione politica e sociale che porterà un po' di scompiglio nel Pd e nella Cgil e di lavoro in campagna elettorale: Gianni Rinaldini, coordinatore della «Cgil che vogliamo».

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di Marco Sferini

Non c’è niente da festeggiare. Ma una commemorazione il Primo maggio la merita comunque e, per questo, forse il miglior modo per ricordare la giornata internazionale di festa delle lavoratrici e dei lavoratori è fare una analisi dell’attuale stato di crisi economica che sta letteralmente impoverendo all’osso la popolazione italiana, che getta – dopo la Grecia – anche la Spagna in piena recessione e che sul piano politica spera in Francia di trovare in Hollande quell’inversione di rotta che certamente con la riproposizione di Nicolas Sarkozy non potrebbe neppure sperare.

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di Claudio Grassi

L’assemblea svoltasi il 1 dicembre a Roma di “Cambiare si può” è riuscita. Non era scontato, viste le differenze di esperienza, di provenienza e di appartenenza dei soggetti coinvolti.
Un primo passo per la costruzione di una lista di sinistra che tenga aperto uno spazio tra il moderatismo della coalizione del centrosinistra e la protesta grillina è stato compiuto.
Adesso il testimone passa ai territori. Nel corso dell’intervento conclusivo di Marco Revelli, infatti, è stato votato un dispositivo dove si propone di fare del 14 e 15 dicembre un “Cambiare si può Day” in tutte le città italiane. Così come è stato deciso che entro dicembre si terrà  una nuova assemblea nazionale per decidere definitivamente se e come procedere.

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di Livio Pepino

La montagna ha partorito il topolino. Non senza qualche inganno.
Un secolo fa le indagini di Mani pulite sembravano avere «girato l'Italia come un calzino». Ma, nonostante le inchieste, gli arresti, i dibattimenti, le condanne, la mobilitazione della piazza e della stampa, i processi di allora non hanno lasciato tracce durature nel sistema.

A poco a poco, i fattori extragiudiziari che avevano favorito inchieste e processi si sono modificati e i promessi interventi istituzionali tesi a prevenire e disincentivare la corruzione sono come evaporati.

Alla fine, il cuneo aperto con Mani pulite si è rinchiuso confermando la regola secondo cui la giustizia può colpire alcuni forti ma alla lunga, senza cambiamento politico, è impotente di fronte alla categoria dei forti complessivamente considerati.

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di Romina Velchi

Se tempesta perfetta dovrà essere, quasi certamente sarà ad agosto. Quando, come si dice in gergo, i mercati sono più "sottili": ci sono pochi scambi e dunque è con piccole risorse finanziarie che si possono fare grandi speculazioni e grandi guadagni. E grandi danni. Per questo i "bene informati" temono che l'attacco (finale, a questo punto) all'euro avverrà proprio nel mese delle vacanze per antonomasia. Non a caso qualche giorno fa il New York Times titolava «L'estate sarà al cardiopalmo» riferendo delle sempre più insistenti voci raccolte nientemeno che a Wall Street su una possibile ondata speculativa contro la moneta europea.

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di Luciana Castellina

Lucio Magri, quando, un anno fa, ha deciso di porre fine alla sua vita, aveva lasciato detto che, per carità, non voleva orazioni funebri attorno alla sua bara. «Come alle presentazioni dei libri, in cui tutti parlano di se stessi anziché del volume perché non l’hanno letto» – aveva aggiunto.

E così il suo funerale fu sobrio e muto. E però a una cosa Lucio teneva: che quanto aveva scritto, se vi si fosse rintracciato un interesse, fosse discusso con serietà.

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di Loris Campetti

Un fantasma è pronto ad aggirarsi nei cieli della campagna elettorale prossima ventura. Non è il fantasma del comunismo ma quello del lavoro, cancellato, precarizzato, silenziato e svuotato dei diritti. Ciò avverrà grazie a un impegno che coinvolge molti soggetti e alla disponibilità che Antonio Di Pietro esprime sul nostro giornale a trasformare i due referendum sull'art.8 e sull'art.18 in una battaglia comune per il ripristino della democrazia nei luoghi di lavoro. Una sfida che vedrà protagoniste nella raccolta delle firme, insieme e con un comitato promotore ampio, le forze politiche, sindacali, editoriali, dell'intellettualità e dell'associazionismo impegnate nella difesa dei diritti dei lavoratori. Questo vuol dire che un'alleanza naturale, basata sul comune impegno per il ripristino della democrazia negata (almeno dagli ultimi due governi), imporrà all'attenzione di chi si presenterà alle elezioni un confronto di merito, concreto, sul lavoro. Come scrivono Di Pietro e Zipponi, che i Sì siano Sì e i No siano No.

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di Roberta Fantozzi

La campagna referendaria che sta per iniziare ha con tutta evidenza un valore straordinario. Per almeno tre ordini di motivi.
Il primo riguarda il merito stretto delle questioni oggetto dei referendum.
Il secondo, il rapporto tra quel merito e la “politica politicante”: l’irruzione di nodi di tale rilevanza da scompaginare un gioco delle alleanze costruito “a prescindere” da programmi e contenuti.
Infine la possibilità che a partire dalla costruzione dei comitati per la raccolta delle firme, quei contenuti si incarnino in una nuova stagione di  protagonismo politico diffuso, che la partecipazione diventi parte di un processo “costituente” di uno spazio pubblico dell’alternativa.
Il merito delle questioni riguarda come è noto due atti politici dei governi Berlusconi prima e Monti poi, le cui conseguenze hanno una portata devastante sul modello sociale e i diritti del lavoro. Con il primo, l’approvazione dell’articolo 8 della manovra dell’agosto 2011, si sono poste le premesse per la cancellazione tanto del contratto collettivo nazionale quanto dell’intero complesso della legisazione a tutela del lavoro, rendendo contratto e leggi derogabili dalla contrattazione di secondo livello e dunque dall’accordo con qualsiasi sindacato di comodo a livello aziendale o territoriale. Una mostruosità giuridica chiave di volta del lungo attacco alla contrattazione collettiva e ai diritti del lavoro di Marchionne e Sacconi, viatico per l’importazione del modello americano di relazioni industriali, della balcanizzazione del mondo del lavoro attraverso la competizione azienda per azienda, in una spirale al ribasso senza fine di condizioni e diritti.

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di Francesco Piccioni

Nelle botti piccola sta il vino buono. In tempi di lettori deboli, il vino buono è costretto a stare in testi brevi. Ma ci vuole arte.
L'operazione è riuscita a Giovanni Mazzetti, economista orgoglioso della sua eterodossia, con un illuminante critica del pensiero unico (Ancora Keynes? Miseria o nuovo sviluppo?, Asterios, euro 8). In meno di 90 pagine propone una corsa nella teoria economica e tra i pilastri delle grandi crisi del secolo scorso per illuminare «l'idiozia» - letterale - delle politiche applicate in piena recessione, a cominciare da quel «pareggio di bilancio» che è stato inchiodato a forza nella Costituzione.
Quel «pareggio» è stato «una conquista borghese» al tempo della lotta contro la monarchia assoluta.

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